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sabato 16 luglio 2016

De Il cerchio, della trasparenza e dei segreti (e del M5S).

Quando ero ragazza c'è stato un momento nel quale mi sono sentita così vicina ai miei amici, così integrata nel cerchio dei nostri affetti reciproci, che pensavo che la trasparenza dei nostri pensieri e delle nostre anime, la completa condivisione di emozioni, desideri e paure, non fosse altro che una splendida opportunità.
Tra persone che si amano e si rispettano, pensavamo e dicevamo e cercavamo di mettere in pratica, non c'è niente di più bello che condividere.
I social network non esistevano ancora, ma noi passavamo insieme molto tempo a parlare e discutere sulle nostre letture, i film, lo studio, le amicizie, la famiglia, insomma su tutto quello che è la vita di un adolescente. Era bello pensare che non c'erano filtri tra noi, che tutto poteva essere affrontato, anche quando si trattava di emozioni come la gelosia o la competizione o la vergogna. Fu il momento nel quale aprii i miei diari segreti, anche le pagine degli sfoghi più puri, alle lettura dei miei amici, convinta che potevano sapere e comprendere.
Il libro di Dave Eggers Il Cerchio mi ricorda quel periodo.
Racconta di un futuro molto vicino nel quale i rapporti umani sono ormai del tutto condizionati da un'unico social  network privato, il Cerchio appunto, al quale tutti sono connessi, non solo per il loro divertimento, ma per lavorare, per gestire  la sicurezza  del proprio quartiere, alla fine addirittura per votare. Le  videocamere funzionano a energia solare, sono sempre attive e  ovunque, possono prevenire colpi di stato (vedi quello che è successo stanotte in Turchia), possono dissuadere dal compiere atti criminali.
Il Cerchio ha bandito l'anonimato degli account e emarginato i troll e coloro che nascondevano la propria identità, è in grado di rintracciare ogni evento significativo della vita dei singoli e tiene costantemente aggiornate le classifiche degli smile e dei frown per ogni profilo, per ogni attività. Gli slogan inneggiano ad una totale trasparenza: i segreti sono bugie, solo condividendo ogni angolo della propria esperienza  ci si può prendere cura uno dell'altro, e se non si è disposti a farlo si commette una trasgressione nei confronti della società.
Non è difficile immaginare che questo conduca ad una forma di controllo totalitario. Mi sono preoccupata perchè, proprio in questi giorni, Google mi sta chiedendo se può unire i dati del mio blog con quelli dell'account Google + ,  non è così inverosimile che già abbia chiaro un quadro delle ricerche e  anche dei miei post pubblici su FB.
Eggers  a mio avviso è geniale nel rappresentare il modo in cui  a questo controllo totalitario ci stiamo tutti sottoponendo in modo volontario, coltivando una ideologia della trasparenza della quale non si notano i limiti e i vincoli. Descrive, attraverso una protagonista che sale progressivamente nella gerarchia del network fino a diventarne l'immagine di punta, il modo nel quale tutto questo processo possa essere convincente e condurre ad una adesione quasi universale.
In una delle scene più coinvolgenti, uno dei soci fondatori del  Cerchio intervista la protagonista che ha commesso una lieve infrazione, documentata da una delle videocamere del network. Vuole dimostrare che la trasparenza "panoptica" è l'unica strada percorribile e indurla ad indossare una videocamera che riprenda e trasmetta in tempo reale ogni sua giornata. Mae si fa convincere: aderire ad un gruppo che pensa di essere sempre dalla parte della ragione, che esalta i successi e sembra perdonare gli errori (a patto che vengano riconosciuti ed espiati) rende sicuri e fa sentire amati.
Per questo mi sono ricordata del nostro periodo "totalitario", che in realtà ebbe una fine abbastanza rapida, e passammo dal gruppo come unica fonte di riconoscimento  a dinamiche  conflittuali. Non ho più fatto leggere i miei diari.
Secondo alcuni autori della psicoanalisi interpersonale (Fonagy Target 1996) la capacità di riflettere sulla propria mente nasce nel momento in cui siamo capaci di nascondere una parte di noi, dei nostri pensieri, alla mente degli altri. Il bambino comprende che tutti abbiamo una mente quando comincia a raccontare bugie, per cui si accorge che la madre non ha il potere di sapere se lui sta mentendo. Il segreto e la bugia, così come il gioco e la finzione, hanno un valore evolutivo, possono essere la base del primo modo di riflettere su se stessi. Quindi della nostra identità.
Se la trasparenza diventa la regola la mia identità viene cancellata.
Ma se l'ideologia della trasparenza prende il sopravvento, in nome della sicurezza, come sta ad esempio avvenendo di fronte al terrorismo, se cerco di nascondermi, se mantengo privato il mio mondo di pensieri ed emozioni,  divento un sospetto.
C'è una idea "geniale" nel libro  che proporrei ai politici del M5S: indossare sempre una videocamera, per documentare la purezza di ogni contatto con i colleghi, con i cittadini e con  eventuali sponsor che volessero avvicinarli per corromperli.  Proverebbero irrefutabilmente di essere diversi da tutti gli altri partiti. Nel libro di Eggers alla fine tutti i politici si piegano a questa innovazione. Chissà se non ci hanno già pensato alla Casaleggio SPA.



lunedì 7 marzo 2016

Tutte le famiglie si somigliano?

Ci sono ancora persone che pensano e dicono che le coppie omosessuali che vogliono crescere dei figli sono “contro natura”, Alfano non è l'unico, i social media sono pieni di commenti simili in questi giorni.
Al di là della banale considerazione che la famiglia non è un dato naturale, ma una espressione sociale e culturale, una forma antropologica, l'idea che delle coppie omosessuali non possano essere dei buoni genitori risulta un tema di riflessione particolarmente intrigante per una psicologa come me, che lavora con bambini e genitori, tutti i giorni, da molti anni.
Essere figli e diventare genitori (o scegliere di non esserlo) sono esperienze universali e particolari allo stesso tempo: perchè riguardano tutti, ma poi ognuno ha come riferimento la propria singola esperienza.
In qualche modo questo tema appassiona perchè tocca da vicino qualcosa che crediamo di conoscere molto bene, qualcosa su cui ci sentiamo a priori degli esperti.
Questo è così vero che ogni volta che ho visto citare gli studi psicologici che documentano che lo sviluppo psicosessuale dei figli in famiglie omogenitoriali non è sostanzialmente diverso da quello dei ragazzi cresciuti in famiglie eterosessuali, studi che non trovano differenze significative né per quello che riguarda l'orientamento sessuale, né per l'identità di genere (1), questo argomento viene alla fine semplicemente ignorato oppure trattato come un dato relativo.
Nelle opinioni risulta molto più forte e importante il riferimento alla propria esperienza: “io so che se fossi cresciuto da due omosessuali (in base al pregiudizio che ho nei loro confronti) mi sarei trovato male, mi sarebbe mancata la mamma oppure il papà”.
In modo molto evidente, nelle foto e negli slogan sui social media, emerge quanto il vero punto della discussione sia l'impossibilità di concepire che possa esserci un altro modo di essere figli o genitori. Vale lo stesso principio per cui se sono cresciuto con una morale rigida sui rapporti prematrimoniali e non l'ho mai contestata, non concepirò che i miei figli non crescano nello stesso modo o che mia moglie possa avere una morale diversa.
Non serve quindi a quasi niente ricordare ancora una volta gli studi che rilevano che oltre il 90% dei figli di famiglie omogenitoriali ha un orientamento eterosessuale, una percentuale sovrapponibile a quella dei figli delle famiglie eterosessuali.
Si tende a usare “naturale” come sinonimo di ciò che ci è stato trasmesso, senza che ci sia bisogno di spiegazioni e pensiero critico, ciò che assimiliamo all'interno di relazioni importanti e fondanti la nostra stessa identità.
Uno dei training fondamentali per diventare psicologo clinico e psicoterapeuta consiste nella ricostruzione della propria storia personale e familiare attraverso il confronto critico con uno psicoanalista, uno psicoterapeuta o un gruppo di pari che analizzano insieme il proprio “genogramma”. Chi si trova a doversi confrontare infatti con le patologie delle relazioni familiari o con la sofferenza mentale del singolo ha bisogno di vedere da una prospettiva critica prima di tutto la propria storia, per non assolutizzarla e non farla diventare il metro con la quale giudicare quella degli altri.
Non so come sia possibile far sperimentare lo stesso decentramento a chi sostiene con tanto vigore e furore propagandistico che non può esistere altra famiglia oltre a quella che lui stesso ha conosciuto.
Spesso le convinzioni ed i pregiudizi sociali cominciano a modificarsi solo nella estensione del fenomeno, solo quando cominceremo a conoscere davvero figli cresciuti da coppie omogenitoriali e ci troveremo a conversare, fuori dalla scuola, aspettando i pargoli nel giardino, con il papà o la mamma della coppia che prima guardavamo con sospetto e scopriremo che hanno le stesse nostre esperienze, le stesse paure, le stesse emozioni.
Forse semplicemente dovrà succedere che nostro figlio ci confessi che ama un uomo e che vorrebbe avere un figlio oppure che nostra figlia si innamori di un ragazzo cresciuto da due mamme.
Poco meno di 40 anni fa anche chi era contrario al divorzio sosteneva che i figli dei genitori divorziati erano destinati ad essere tutti sofferenti. Mentre i fattori che influenzano la serenità dei figli sono molti e presenti sia nelle coppie sposate che separate: ad esempio il livello di conflittualità espressa o repressa tra i genitori, oppure la depressione o un altro disturbo psicopatologico, ma non la separazione in sé.
Anche per l'aborto ci fu una forte mobilitazione contraria e molti fecero previsioni catastrofiche sull'uso che le donne ne avrebbero fatto. Invece il numero di aborti è costantemente diminuito e si è dimezzato rispetto ai primi anni dall'approvazione della legge 194/78. Secondo il rapporto del Ministero della Salute del 2013 in Italia abbiamo uno dei tassi di interruzione di gravidanza più bassi tra quelli dei paesi industrializzati.
I cambiamenti del costume sociale non saranno ostacolati dalle opinioni di chi cerca di conservare ciò che appare “naturale” solo perchè è consuetudine, i cambiamenti avverranno comunque, è bene quindi che il legislatore possa intervenire per regolamentare le nuove relazioni sociali che si creano. Vietare o non riconoscere alcuni diritti, che corrispondono a una diversa tipologia di relazione familiare, non serve e alla lunga crea solo ulteriori disfunzioni e ingiustizie. Invece regolamentare aiuta a definire meglio i limiti e le responsabilità dei singoli verso il corpo sociale.
E' una realtà sociale l'esistenza di coppie di donne che hanno avuto un figlio ed è il figlio a soffrire della mancanza del diritto di essere accudito da una delle sue mamme.
E' anche una realtà che il fattore che ostacola sia lo sviluppo dei figli di coppie divorziate, sia le donne che si assumono la responsabilità di un aborto, sia i bambini che vivono con coppie omogenitoriali è rappresentato dallo stigma sociale. L'intolleranza, il giudizio morale, la discriminazione rappresentano i veri fattori di rischio di un sano sviluppo.
La famiglia è una costruzione sociale e culturale, così come l'idea di maternità o di paternità. Ha dei vincoli biologici che sono determinanti per lo sviluppo dell'individuo, ma altrettanto determinante è il significato psicologico individuale, sociale e culturale che viene dato al vincolo biologico. (Tra parentesi gli studi di gender si occupano di approfondire le variabili implicate nella definizione di maschio o femmina, non sono una ideologia, ma un campo di teorie e osservazioni molto complesso).
Un grande scrittore diversi anni fa sosteneva che tutte le famiglie felici si somigliano, mentre ogni famiglia infelice lo è a modo suo.
Però ogni storia familiare può essere felice o infelice a modo suo, l'importante è capire come lo è diventata, felice o infelice, non giudicarla in base a norme e verità che probabilmente nessuno può detenere.


1 26 studi esaminati da Prati e Pietrantoni (2008) sulla Rivista Sperimentale di freniatria, 77 studi scientifici Individuati nell’ambito del progetto Whatweknow della Columbia Law School di New York, 150 studi presi in esame dal report Patterson (2005) presente sul sito della American Psychological Association.

giovedì 4 giugno 2015

Che ci facciamo noi nel PD due anni dopo.....(la mia crisi da civatiana)

Solo due anni fa scrivevo che stavamo nel PD per la presenza di idee e persone che potevano davvero farcela a cambiare questo paese, sempre così immobile tra la protesta velletaria e la difesa dei privilegi acquisiti.
Scrivevo che finchè ci sarebbe stato Luca Pastorino, come buon amministratore di sinistra, avremmo potuto credere che il PD poteva farcela a governare. Pastorino è uscito dal PD  dopo una brutta vicenda su primarie non corrette. Ora ha avuto circa un dieci per cento di consensi in Liguria, ma il PD ha perso il governo della Regione.
Scrivevo che finchè ci sarebbe stato Filippo Taddei la politica economica che avremmo portato avanti avrebbe modificato degli equilibri nel mondo del lavoro. Poi Taddei è diventato sottosegretario nel governo Renzi  e il Jobs act ha trovato oppositori tra gli stessi compagni che l'ascoltavano al Politic Camp di due anni fa.
Avevo la speranza che noi "civatiani" non saremmo diventati una corrente scissionista, che ce l'avremmo fatta a rimanere una coscienza critica ed a fare delle proposte che venissero accettate ed integrate nel partito. Anche con delle mediazioni. Penso che Civati abbia provato a farlo.
Ma l'ascesa di Renzi, la popolarità che ha creduto di ottenere, gli hanno  fatto credere di poter fare da solo, senza mediazioni, senza ascolto verso chi aveva cominciato un cammino insieme a lui. Sembra che si stia rinchiudendo in un fortino di ferro, sembra che gli vada bene l'autoesclusione di coloro che non condividono in pieno la sua politica.
Però se rimane Bersani, D'Alema perchè se ne va Civati? Per fare cosa?
Davvero crede che si possa riformare un partito di sinistra?
Quale sinistra?
Ad una manifestazione di SI Toscana a sinistra  a Grosseto, con la partecipazione di Vendola, saremo stati in piazza non più di una quarantina di persone. Età media 50 anni. Una tristezza incredibile. Vendola stesso ha detto che si è persa la fiducia che la sinistra possa davvero cambiare il paese. Si è persa la fiducia che una politica di sinistra rappresenti il cambiamento. SI Toscana ha preso il 6%, la quota che ha perso Rossi, la Lega di Salvini è salita
intorno al 17%.
Per questo Renzi insiste così tanto sul continuare con le riforme che ha promesso, a qualsiasi costo, come quello di perdere pezzi del partito. Vuole riuscire a mantenere la speranza che il suo governo rappresenti questo cambiamento, ma poi deve fare i conti con dei compromessi con la vera parte sociale che rappresenta, che vuole sì un ammodernamento, ma non un cambiamento radicale.
Credo che i i ceti sociali rappresentati dall'attuale centrosinistra siano favorevoli ad una minore burocrazia statale, ad uno snellimento delle procedure nel mondo del lavoro, ad una compartecipazione privata nei servizi di base, ad una scuola più efficiente e che formi attraverso competenze e merito, così come sono stanchi della corruzione, dei favoritismi, anche nello stesso partito democratico.
Sono per una tiepida protezione sociale, per un tiepido riformismo sui diritti civili, per le coppie di fatto, ma non per i matrimoni gay. Non sono favorevoli ad una tassa patrimoniale, perchè colpirebbe in fondo anche le seconde case che hanno costruito con tanta fatica al mare, ma potrebbero accettare l'estensione di un reddito minimo per chi non trova un lavoro.
Una parte di questo elettorato aveva creduto anche alle promesse moderniste di Berlusconi, poi però  rimasto deluso dal fatto che l'unico ad aver guadagnato dal suo ventennio di governo è stato lui e le sue aziende.
Invece quali ceti sociali si riconoscono in una sinistra più radicale? Pochi illuminati ceti intellettuali, borghesi, insegnanti, qualche impiegato, scarsissimi operai, alcuni precari, alcuni studenti. Non la maggioranza degli operai, non la maggioranza degli impiegati, non la maggioranza degli studenti e neanche degli insegnanti.
Per questo era importante che almeno alcuni di questi si sentissero rappresentati, all'interno del PD, da Pippo Civati. Poteva essere l'occasione di far comunque passare alcune riforme più radicali, di far pendere almeno a volte, la bilancia verso cambiamenti meno tiepidi. Uscendo dal PD si perde anche questa occasione e non si va verso una aggregazione davvero in grado di incidere.
Mi si obbietterà, come sta dicendo ora Pastorino, che i suoi voti non sono gli stessi del PD, che c'è una urgenza e una necessità di andare a pescare di nuovo i voti della sinistra radicale.
Non credo proprio, come direbbe Crozza-Razzi.
I voti più radicali sono diventati voti disillusi, voti che vengono dati al M5S, che promette una diversità da tutto il ceto politico (ma poi non sa come amministrarla in parlamento e negli enti locali non sono poi così diversi dalle buone amministrazioni di centrosinistra). Oppure ancora alcuni forse sono andati alla Lega, che sembra dare dei veri nemici, facili, individuabili, che si possono eliminare semplicemente con le ruspe.
Molti, moltissimi, non votano più.
Vivono tiepidamente nelle loro cerchie di affetti e realizzazioni personali, abbastanza bene da non protestare, abbastanza disillusi o ignoranti o arrabbiati da credere che la politica non li riguardi.



giovedì 26 febbraio 2015

La sottomissione, l'Islam, Marte e Venere.

Una riflessione che ho fatto leggendo il libro Sottomissione riguarda il ruolo delle donne. Mi sembrava incredibile che in quella storia  le donne occidentali accettassero la sottomissione agli uomini,  un cambiamento così radicale del loro ruolo. Mi sono così identificata in tale ipotesi che ho immaginato forme di protesta e contestazione, così come avrebbe dovuto descriverle nel romanzo Houellebecq, se fosse un autore meno misogino di quello che ci tiene ad apparire.
Ho cominciato poi a ragionare sul perché nei paesi arabi non ci siano  movimenti di protesta delle donne, almeno dalle notizie che se ne hanno da noi. Mi sono allora informata un po' in internet ed ho trovato che nei paesi occidentali ci sono donne musulmane che spingono per adeguare la religione ai tempi moderni, sostenendo che non vi è un motivo religioso per escludere, ad esempio, le donne dalle moschee, o intendere la sottomissione al marito in senso letterale o seguire altre regole che sono consolidate secondo la tradizione, ma non hanno un senso morale.
Un punto base da comprendere della religione islamica è proprio che non c'è una unica guida o una unica comunità alla quale riferirsi, come è accaduto invece per la religione cristiana, che riconosce nel Papa e nel Concilio gli interpreti unici del messaggio cristiano. E' più difficile quindi per chi osserva dall'esterno orientarsi negli usi e nelle forme che prende la religione musulmana a seconda della comunità  (sunnita, scita, salafita ecc.)
Quindi quando anche alcune comunità cominciassero a modificare le proprie tradizioni religiose e culturali, queste non sarebbero automaticamente accettate da altre comunità, più profondamente inserite in contesti nei quali ad esempio il ruolo della donna è ancora quello della famiglia patriarcale. Le battaglie del femminismo_islamico si svolgono  in prevalenza nei paesi occidentali.
Del resto anche nelle democrazie europee o nordamericane il ruolo della donna si è modificato prima nell'ambito socioeconomico e poi nella cultura e quindi nella religione. Sono state le rivoluzioni, da quella francese a quella industriale a modificare la funzione sociale delle donne. C'è stata una lunga e tormentata storia della nascita dei diritti femminili, che ancora non possono dirsi, neanche in occidente, del tutto acquisiti, soprattutto quelli sostanziali.
L'interpretazione più retrograda del ruolo delle donne all'interno  dell'Islam è forte in paesi nei quali non c'è stata né rivoluzione industriale e né la necessità del lavoro diffuso delle donne.
Nelle nostre società è stata  la seconda guerra mondiale a modificare  i rapporti uomo donna nel mondo del lavoro, perché la necessità di sostituire gli uomini impegnati sui fronti di guerra ( un tipo di guerra certo diversa, meno tecnologica, di quelle che si combattono oggi) ha dato accesso alla indipendenza economica, prima  base dell'indipendenza femminile.
La ricchezza della Arabia Saudita, monarchia assoluta nella quale vige come legge solo la Sharia, non è basata su una economia manifatturiera, ma sullo sfruttamento delle risorse. L'industria petrolifera impiega molta  manodopera straniera, non sembra aver creato un ceto medio di servizi nei quali sia fondamentale anche il lavoro femminile. Così si crea  un corto circuito nel quale meno le donne lavorano, meno sono istruite, meno combattono per i loro diritti.
Sembra allora che non sia pensabile una evoluzione politica dei diritti femminili e di tutti i diritti della persona in questi stati governati secondo le leggi islamiche non a causa della religione, ma a causa, come sosteneva un certo Karl Marx, delle strutture economiche e quindi sociali.
Però non sembra così semplice capire la diversità tra i paesi musulmani e i paesi occidentali. E' facile fare confusione  tra il piano politico/economico e quello religioso/culturale-
Le notizie di questi giorni (la guerra dell'ISIS in Siria e  in Libia, gli attacchi terroristici in Danimarca)  portano di nuovo in auge commenti ostili all'Islam e ai musulmani.
Molti infatti reagiscono all'orrore delle immagini delle decapitazioni attaccando la religione dell'Islam, altri cercano di tenere conto delle sfumature tra i moderati e i "fondamentalisti", ma  rischiano forse in questo modo di non prendere una posizione più netta nei confronti di alcune comunità musulmane che non rispettano i diritti individuali e che quindi possono avvallare alcune motivazioni propagandistiche  dei terroristi e dell'ISIS.
Alcuni studiosi, tra i quali Franco Cardini, sostengono invece che le differenze tra Islam e Cristianità non sono poi così rilevanti e che in realtà la crisi attuale tra occidente e musulmani nasce dai vari tradimenti che il mondo delle democrazie occidentali ha perpetuato verso il mondo islamico: la questione palestinese, la spartizione dell'area araba tra le potenze coloniali,  l'abbandono dell'Africa alle multinazionali, senza supportare i processi democratici.
Mi sono posta molti  dubbi, perché rientro sicuramente tra coloro che cercano di non avere un pregiudizio contro la religione musulmana ed in genere contro le religioni.
Ma cercando di capire mi sono chiesta come mai le religioni stiano diventando di nuovo ideologie politiche così militanti, così onnicomprensive e come sia possibile che molti giovani occidentali, anche donne, o giovani di paesi che comunque sono vissuti in modo laico, si facciano coinvolgere, si lascino conquistare dal fascino del fondamentalismo.
C'è una contraddizione nel nostro modo di pensare tra un principio di relativismo culturale, che cerca di accettare sullo stesso piano tutti i valori delle diverse culture e/o religioni, e un principio che difende comunque alcuni valori, come quelli  della persona,   come centrali, migliori, assoluti.
L'Islam appare come una religione che non accetta  i diritti individuali, nella sua ideologia è centrale la comunità, è alla comunità religiosa che si sottomettono i credenti, solo nella partecipazione alle leggi della comunità si è riconosciuti.
La Dichiarazione_islamica_dei_diritti_dell'uomo sottomette i diritti individuali alla legge islamica del Corano e della Sunna. La dichiarazione non prevede ad esempio la parità di diritti tra uomo e donna. E' stata elaborata proprio perché per alcune nazioni era impossibile aderire, per le differenze culturali basate sulla adesione alle leggi islamiche, alla Dichiarazione_universale_dei_diritti_umani dell'Onu.

Ad un interessante incontro della Associazione Metis e della Associazione Plinio Tammaro, "Mutamenti dell'anima e scenari del mondo", si discuteva della interpretazione dei recenti eventi politici e delle guerre nel medio-oriente alla luce delle teorie di James Hillman, psicoanalista junghiano che spesso si è occupato di leggere i fenomeni sociali attraverso gli archetipi. Durante il vivace dibattito tra i relatori (Eliana Belli, Maria Paola Moretti e David Tammaro) ed il pubblico sulle immagini della guerra, sull'intreccio tra gli aspetti sociali e i miti culturali e religiosi, sulla diversa appartenenza alla comunità nelle società musulmane od occidentali, sulla contrapposizione tra "noi" e "loro", su quanto si può rispondere all'odio della guerra di Marte con l'amore di Venere ho cominciato a pensare che potrebbero essere le donne a modificare l'Islam.  Sarebbe bello e significativo, come è successo in alcune primavere arabe,  che fossero loro a combattere perché venga riconosciuta la loro capacità e indipendenza, i loro diritti e così anche a modificare le comunità ed i paesi musulmani. Solo nella integrazione degli opposti, nella democrazia e nel confronto del dialogo si può trovare una via pacifica alla convivenza.

martedì 18 dicembre 2012

Il concorsone e la meritocrazia.

C'è qualcosa di sbagliato nella  mentalità degli italiani se ci scandalizziamo del medico che commette un errore e dell'insegnante impreparato,  ma ci lamentiamo di prove di valutazione selettive.
Come è possibile selezionare davvero dei professionisti, siano essi medici, insegnanti, magistrati, se non si ammettono dei criteri di valutazione severi ed abbastanza oggettivi?
Le polemiche di questi giorni sulla prova di selezione del concorsone mi hanno provocato alcune riflessioni.
Prima di tutto ho provato a fare la prova con il simulatore online. Al primo tentativo sono riuscita ad arrivare a 33 punti. Sono necessari 35 punti su 50, se si risponde bene si ottiene un punto, se si dà una risposta errata c'è una penalizzazione di 0,5, se non si risponde non si ottengono punti nè penalità. Al secondo tentativo ho totalizzato 28. Al terzo tentativo ho superato la prova col punteggio  minimo 35.
Penso che se mi fossi allenata di più e che se avessi migliorato alcune conoscenza soprattutto nella fisica e nell'informatica, di base, avrei potuto avere buone probabilità di superare la prova. Il mio punteggio era infatti totalmente positivo nelle prove di comprensione verbale, mi mancavano alcuni punti nelle prove di logica (odio gli esercizi in cui va scoperta la regola della serie di numeri), ho fatto un errore su un termine di informatica che non conoscevo e su una frase di inglese.
Insomma nel mio piccolo non ho trovato queste prove così impossibili come vengono descritte dai giornalisti o da chi non l'ha superata. Con questo non voglio sostenere che basti questa prova per insegnare, infatti il concorso prevede che dopo questa prima selezione il candidato abbia 24 ore per preparare una lezione ed un piano didattico, per poi esporlo in mezz'ora di lezione simulata di fronte ad una commissione.
Mi piacerebbe che la discussione sulla valutazione fosse affrontata in modo più serio, mi sarebbe piaciuto che qualche giornalista avesse consultato degli psicologi  che si occupano ad esempio di selezione del personale o dei pedagogisti. Sarebbe necessario che qualcuno cominciasse a porre il problema della valutazione in modo più coerente.
Mi stupisco che proprio degli aspiranti insegnanti si indignino di affrontare una prova oggettiva, che poi è solo una prima scrematura, quando uno dei loro principali compiti sarà proprio confrontarsi con il problema della oggettività della valutazione delle prove dei loro alunni.
Non è facile valutare il merito. Il tema della valutazione delle prove, così come della valutazione della intelligenza o di altre capacità cognitive, è un tema complesso ed è alla base della nascita della psicologia.
Le scienze psicologiche sono nate proprio dalla esigenza delle società moderne di avere la persona giusta al posto giusto. Inizialmente al posto del lavoro, in seguito ad altri tipologie di posti.
Su questo tema si sono impegnati molti studiosi, si è sviluppata la pedagogia e la psicometria, ci sono tesi e opinioni discordanti, ma è tutto fuorchè un tema banale come viene presentato in queste giornate.
A me pare  che il ministero stia facendo per la prima volta uno sforzo per una selezione che non sia condizionata da conoscenze, raccomandazioni, opinioni discutibili, criteri diversi da commissione a commissione. Si sta cercando di creare una prova iniziale che valuti le competenze di base di un buon insegnante: le sue competenze lessicali, la comprensione di un testo, le capacità di ragionamento logico, la conoscenza di alcune formule di base, la capacità di orientarsi sull'uso del computer e di una lingua straniera. Queste non sono certo tutte le competenze necessarie, ma sono quelle che un buon insegnante deve avere. Perchè sono quelle che richiederà anche ai suoi allievi.
Si obbietta che un insegnante di italiano non deve avere competenze matematiche. Nelle prove che ho trovato la matematica è quella di un buon istituto superiore. Io ho fatto il classico e  non ricordo le equazioni o l'algebra, ma se mi ci mettessi potrei recuperare queste conoscenze. Sono appunto conoscenze di base. La mia capacità di preparare una lezione su Leopardi verrà messa alla prova nell'esame successivo.
Anzi io avrei aggiunto a questo tipo di prove anche un esame delle capacità di comunicazione e di gestione di un gruppo classe. Capacità che sono essenziali in un buon insegnante, ma alle quali purtroppo non prepara ancora nessun corso di studi.
Penso che la nostra classe insegnante  delle scuole superiori dovrebbe avere due lauree, anche brevi: una prima  nella materia che si desidera insegnare ed una seconda in scienze pedagogiche. Invece purtroppo in Italia l'insegnamento è stato per molti una scelta di ripiego (parlo soprattutto per le scuole superiori), mentre è una professione di tutto rispetto, con una sua intrinseca difficoltà, che richiede persone motivate, preparate, intelligenti e con una personalità abbastanza equilibrata. Insegnanti così avrebbero diritto a stipendi ottimi, ma solo dopo una selezione severa.

domenica 25 novembre 2012

Ancora sulla sessualità e sull'educazione ai ruoli sessuali.

Andrea portava a volte dei pantaloni rosa, Andrea si è impiccato. Secondo alcuni amici e secondo la sua famiglia Andrea era preso di mira dal bullismo di alcuni coetanei omofobi. La Procura sta indagando su questo. Non è chiaro quanto la discriminazione nei confronti di una sua presunta omosessualità, comunque nei confronti dell'adottare comportamenti non conformi alla identità di genere, intesa nel suo senso più ristrittivo, possano aver pesato nella decisione che ha preso. Come ho potuto sperimentare in prima persona, è estremamente difficile capire fino in fondo il gesto di un suicida, soprattutto quando è così giovane. Mi sento davvero vicina ai suoi cari.
 Però una considerazione, mentre ne leggevo, mi si è inevitabilmente presentata: siamo ancora molto lontani da una società nella quale i comportamenti sessuali (e le identità di genere) possano essere liberi e consapevoli. Se si vuole offendere un ragazzo si usano parole per definire la sua presunta omosessualità, per offendere una ragazza si usano parole per definirla come una prostituta. Leggo a volte su Facebook attacchi verbali nei confronti di ragazze, che sono tutti riferiti alla loro "libera" sessualità e la cosa che mi sembra più grave è che vengono soprattutto da altre ragazze. I comportamenti sessuali sono usati come una arma, perchè sono di per sè uno scandalo. Cosa c'è di male nell'essere omosessuali, cosa c'è di male nel fare sesso con più ragazzi? Inoltre si accusa di comportamenti "liberi" solo le ragazze che lo fanno. Mentre i ragazzi che invece hanno molte esperienze sessuali sono "ganzi", ma se non ne hanno possono subito essere accusati di essere gay.

Perchè siamo ancora incatenati in questi stereotipi? Perchè lo sono i nostri figli? Basterebbe una legge sulla omofobia? E una legge che combatta il sessismo potrebbe cambiare davvero questo modo assurdo di pensare? Le leggi sono importanti e spero che l'iter della legge che è stato presentato dalla deputata Concia vada avanti, ma le leggi non bastano. Continuo a pensare che dobbiamo educare le nuove generazioni al rispetto di ogni comportamento sessuale che non leda la libertà delle persone coinvolte e a vivere la propria sessualità in modo che sia un momento per provare piacere e per entrare in relazione con gli altri. In un mondo così forse non esisterebbe neanche la prostituzione.

Ma sento una grande indifferenza rispetto ai temi di una nuova educazione sessuale. Nonostante ora su Facebook molti profili si siano tinti di rosa penso che continuerò a vedere commenti, barzellette o stati sottilmente, ma a volte neanche troppo, omofobi o sessisti. Nonostante la giornata contro la violenza verso le donne, i femminicidii continueranno finchè non saremo in grado di cambiare il modo in cui facciamo crescere i nostri figli, il modo in cui trasmettiamo loro il senso di essere uomini e donne, il significato e la complessità della vita sessuale.

Ci sono associazioni di uomini come Maschile Plurale (www.maschileplurale.it) che finalmente cercano di ragionare su un modo diverso di essere maschi così come molte associazioni e studiose hanno ragionato sull'essere femmina. Sarebbe bello che anche all'interno del corso di studi dei nostri ragazzi ci fosse uno spazio per conoscere il tema e per rifletterci. Ci sono insegnamenti universitari di storia dell'identità di genere, a me sembrerebbe utile introdurre in modo stabile nei curricula delle scuole superiori una "educazione ai ruoli sessuali", piuttosto che l'educazione sessuale come viene comunemente intesa. Mi piacerebbe che si discutesse seriamente di questo, potrebbe portare ad un mondo diverso.

giovedì 1 novembre 2012

Solidarietà

Ieri ho incontrato una persona che in genere saluto, senza conoscerla davvero. Mi ha fermato, sapendo del mio lutto, e mi ha chiesto come sto. Ho risposto vagamente, non sapevo bene cosa dire, non siamo in una relazione di confidenza. Questa persona ha cominciato a dirmi che la morte di Matilde ha sicuramente un senso, che ora non posso vedere, ma che forse col tempo potrò scoprire. All'inizio mi stavo irritando, infatti ho risposto che ora tutto mi sembra solo assurdo. Ma poi ha continuato a parlare, mi ha detto che la vita è crudele, ma eventi così tragici possono servire a vedere la nostra posizione nel mondo in un'altra prospettiva. Ha accennato al fatto che anche a lei era capitato qualcosa di simile, non una morte, ma una sofferenza molto grande. Ne aveva colto il senso solo con il tempo. L'ho ascoltata pensando che voleva rassicurarmi, che voleva in qualche modo sostenermi. Ho pensato che è questa la solidarietà: quando ci si trova di fronte all'inspiegabile, assurdo modo che ha la vita di colpirci e si cerca di fare fronte comune, si cerca di ridare un senso a quello che non sembra averne. Mi ha colpito molto in questi mesi il fatto che diverse persone che credevo semplici conoscenti si siano avvicinate per dirmi qualcosa, per mostrarmi in qualche modo la loro solidarietà. Hanno trovato, in forme diverse, un modo per dire: è vero, è terribile, è capitato a te, ma può capitare a chiunque ed in questo voglio esserti vicino, voglio darti una speranza, voglio testimoniare la nostra finitissima umanità. La solidarietà sta nella testimonianza dell'umana fragilità e dell'unica forza che vi si può opporre, la condivisione. L'ho abbracciata e baciata, quella persona, prima di questo momento non le avevo mai neanche stretto la mano. Volevo ringraziarla e farle sentire che la sua vicinanza l'accettavo, con un abbraccio, uno dei gesti più belli che hanno gli uomini per stare vicini. Ho abbracciato tante persone ultimamente.

domenica 24 giugno 2012

La Bosnia, l'Europa dei sogni e l'Europa dei banchieri

Questa estate andrò in Bosnia, a Sarajevo, a Mostar. E' un progetto che coltivo da diversi anni, non solo per la bellezza delle città e dei paesaggi. Durante le guerre dei Balcani degli anni 90 cercavo di tenermi informata su quanto stava succedendo, non potevo capacitarmi di quello che succedeva solo a pochi chilometri dalle nostre sponde. Leggevo gli articoli di Sofri e condividevo le sue posizioni.
In quegli anni i paesi della Unione Europea hanno davvero dato una pessima prova.
L'Europa è nata da un sogno di pace e di cooperazione. I padri fondatori hanno vissuto la seconda guerra mondiale e volevano evitare ancora conflitti così disastrosi. Avevano in mente una federazione di stati che potessero cooperare allo sviluppo e vivere in pace.
Se si leggono i principi dell'ultimo trattato europeo, il trattato di Lisbona del 2009, si trovano parole come "diritti, libertà, sicurezza, solidarietà, partecipazione, democrazia".
Durante l'assedio di Sarjevo, la pulizia etnica, i campi di concentramento le istituzioni europee non sono state capaci di avere una reale presenza. Ogni paese europeo si è mosso autonomamente, a volte addirittura in contraddizione uno con l'altro, secondo logichepolitiche antiche e non adatte a comprendere e a valutare attentamente quello che stava succedendo.
Sto leggendo il libro di Paolo Rumiz Maschere per un massacro (Feltrinelli 2011), che sostiene che le ragioni della guerra non erano quelle che la propaganda ci vendeva. L'odio etnico era una maschera, una copertura ben gonfiata ed orchestrata per coprire le vere ragioni della guerra. Motivazioni economiche e politiche stavano alla base della creazione dello scontro tra etnie, tra persone che avevano vissuto a contatto per cinquanta anni. Rumiz racconta che il vecchio establishment comunista, in crisi per la caduta del muro e delle nazioni che il sistema sovietico aveva tenuto insieme, ha cercato di mantenere il proprio potere attraverso la creazione di guerre sulla base di motivi etnici. La guerra ha creato ed ampliato un mercato nero, mafioso, ha permesso l'appropriazine di fortune con la scusa di spostare ampie popolazioni, ha creato una situazione di odio ancora maggiore di quella precedente, se davvero c'era.
L'Europa su tutto questo non è stata capace o forse non ha volto intervenire. La situazione che è uscita dagli accordi di Dayton , gestiti come al solito dagli Stati Uniti, non dall'Europa, è stata un riconoscimento di fatto degli spostamenti forzati e della pulizia etnica.
Dopo questo enorme fallimento le istituzioni della UE si avvertono solo quando ci sono decisioni economiche da prendere. La creazione del mercato comune e la nascita della moneta unica sono i soli risultati.
In questo modo però l'unica Europa visibile, quella che gli europei vedono sui giornali, che sentono nella lora vita quotidiana è l'Europa delle banche e dei banchieri. Si parla di Europa e di spread, di euro e di uscire dalla moneta unica, del debito pubblico da risanare perchè lo chiede l'Europa, ma dell'Europa dei diritti e della vera cittadinanza non si sente parlare.
In questo hanno una grande responsabilità anche i parlamentari europei, che non riescono e non possono, non so,  proporre dei progetti legislativi credibili che possano appassionare i cittadini europei. Penso a progetti su grandi temi, sullo sviluppo, sulla cittadinanza, sull'inclusione.
Mi piacerebbe che ci fossero iniziative legislative europee che salvaguardassero i diritti, che proponessero politiche di sviluppo e salvaguardia del lavoro, che finanziassero la cultura europea, cercando ad esempio di aumentare gli scambi culturali.
Certo c'è l'esperienza dell'Erasmus, ci sono alcuni finaziamenti che a volte neanche vengono utilizzati, soprattutto da noi italiani, ma manca un sogno di grande respiro.
Manca il Sogno Europeo, il Progetto di creare una Federazione polica reale, viva, non solo formale.
Se continua ad essere solo una federazione di banche e di istituzioni che pongono limiti e sacrifici le spinte secessioniste, come ora in Grecia, come per alcuni politici opportunisti italiani, potrebbero essere più forti, fino a uccidere il sogno europeo.



domenica 26 febbraio 2012

Il kindle e gli ebook.

All'inizio ero un po' diffidente nei confronti degli ebook. I libri mi piacciono molto anche perchè è bello tenerli in mano, sfogliarli, sentirne l'odore. C'è una differenza tra libri in brossura e libri pieghevoli (io preferisco i pieghevoli, più maneggiabili), c'è il piacere di vederli tutti allineati nella mia libreria, la soddisfazione che dà trovare nuovi modi di organizzarli, oppure lasciarli così un po' spersi tra i vari ripiani, senza ordine. Il libro è un oggetto che ha accompagnato tutta la mia vita. Quando è nata mia figlia Matilde una delle prime cose che le ho regalato è stato un piccolo libro su un anatroccolo, a forma di papera. Lei aveva tre mesi ed ovviamente lo "mangiava" più che guardarlo, ma era bello vederla con quel libro in mano (ed in bocca).





Quindi all'inizio gli ebook, con la loro mancanza di corporeità mi lasciavano indifferente. Non capivo l'utilità di avere un ereader e non pensavo che avrei scaricato gli ebook. Però piano piano mi hanno incuriosito. Prima ho cominciato a scaricarli sul computer. Poi ho cominciato a pensare di comprare un ereader. Mi sono informata ed ho cominciato ad interessarmi al Kindle, l'ho comprato ad un prezzo  accessibile ed ora ne sono  appassionata. E' piccolo, ma si legge bene, lo schermo non è retroilluminato e dà una impressione reale di pagina scritta. E' maneggevole e leggero, si possono archiviare moltissimi libri che si possono scaricare velocemente dal sito amazon.it. Si può navigare in internet con una connessione wi-fi, anche se certo le pagine sono visualizzate in bianco e nero e non come su un tablet. I libri disponibili sono molti, in questi giorni mi sono scaricata molti classici che ora sono gratuiti. Sono andata in vacanza ed ho potuto portare il kindle con una scelta di libri incredibile, prima era impensabile,  io leggo molto velocemente ed ero rimasta a volte senza libri da leggere. Poi me lo porto dietro quando devo aspettare in fila, quando aspetto mia figlia a lezione, quando ho delle pause nel lavoro. Insomma posso leggere ovunque e scegliendo anche il tipo di lettura. Posso evidenziare alcuni punti, aggiungere note e commenti e dare una valutazione sul libro e scegliere se renderlo pubblico. In conclusione il kindle mi piace molto e mi piacciono anche gli ebook. Questo non significa che smetterò di comprare i libri, perchè il loro piacere non è sostituibile, ma comprerò libri ed ebook. Le mie figlie probabilmente avranno più ebook che libri e forse per studiare potrebbe essere anche meglio. Ho sentito che in alcune scuole si sta pensando di sostituire i libri di testo con quelli digitali, oltrettutto per le famiglie sarrebe un notevole risparmio. Forse tra un po' dovrò comprarlo anche a loro.
p.s. non si tratta di pubblicità a pagamento!!! :)

martedì 14 febbraio 2012

Sempre a proposito di sessualità consapevole


Una insegnante di una quinta elementare mi ha chiamato per chiedermi se potevo partecipare ad una riunione con i genitori dei suoi alunni. Il problema era che nella sua classe si è parlato di sesso. Per meglio dire i bambini hanno parlato di sesso tra di loro, in particolare di video a contenuto sessuale che alcuni avrebbero visto e dei quali avrebbero raccontato agli altri. Poi i grandi l'hanno saputo e ne hanno parlato alle maestre, che hanno pensato ad una assemblea nella quale informare  tutti i genitori.
Tra i bambini e i grandi non sono avvenute altre comunicazioni oltre le indagini che singolarmente ogni famiglia ha fatto con i propri figli, per sapere se sapevano, quanto sapevano e chi era stato il "mandante", l'inizio di tutto.
Una volta appurato che nulla era avvenuto per contatti con presunti pedofili (il fantasma che era stato evocato dal alcuni) le insegnanti si sono chieste se non fosse il caso di parlare con i bambini di sesso, di pornografia, dei giochi che a volte appaiono, cercando altro, su Google, di  YouTube, dei pericoli di cercare informazioni su Internet. Cioè se non fosse il caso di fare un po' di sana educazione sessuale.
Sana ma evidentemente ancora impossibile .
Infatti non c'è stato verso di discutere sul serio questa possibilità.
I genitori si sono divisi in due  gruppi, quelli che hanno appurato che i propri figli non c'entravano nulla e che si sono sentiti sollevati (per quanto?) e quelli che hanno invece dovuto fare le indagini ed affrontare anche le domande dei figli sul tema. Ma una volta appurata questa divisione il problema è stato accantonato. Come si diceva una volta "i panni sporchi si lavano in famiglia". La proposta di farli lavare in comunità non è stata affatto presa in considerazione.
Qualche tempo fa scrivevo della mancanza di una sessualità consapevole negli adolescenti e nei giovani.
Ma come possono vivere consapevolmente il sesso se noi non ci poniamo il problema di formarli a questo, come possono essere educati se i mezzi di informazione che hanno a disposizione sono la pornografia, i racconti degli amici, le mezze verità che passano nella scuola quando si parla del corpo umano? Come si può pensare che ci sarà mai una cultura davvero aperta e non discriminatoria se nessuno discute con i bambini degli orientamenti sessuali, di cosa significa essere gay o transessuale, di quali sono le forme del sesso?
Penso da tempo che si dovrebbe fare educazione sessuale alle scuole materne, alle scuole elementari e alle superiori, ogni volta nel modo appropriato all'età, ma ogni volta parlandone. Invece addirittura l'Educazione Sessuale che una volta veniva fatta dai Consultori delle ASL è stata trasformata in Educazione all'Affettività, che è interessante, ma è, permettetemi, un'altra cosa.
La sessualità non è un tema che possiamo lasciare solo alle  famiglie, perchè ci sono le famiglie in grado di affrontarlo e ci sono le famiglie che preferiscono chiudere gli occhi e pensare che i bambini sono angioletti innocenti finchè qualche sporco pedofilo li disturba. Dimenticando e non volendo avere coscienza che se i bambini fossero informati sul sesso sarebbero anche meno preda dei pedofili (che poi spesso sono frequentatori della famiglia, quando non familiari stessi).
Lo so, sto affrontando temi difficili e delicati e so che molti potrebbero non essere d'accordo. Ne ho avuto piena percezione in quella assemblea nella quale non sono mancati i risolini imbarazzati, i richiami alla malattia di chi guarda la pornografia, l'imbarazzo di affrontare il tema con i figli, la vergogna di chi si è sentito coinvolto. Nonostante tutti concordassero sul fatto che il sesso non è un tabù, a me invece è sembrato che  lo sia ancora.
I bambini hanno curiosità sul sesso, è sempre stato normale e lo è ancora di più in una società nella quale le pubblicità, i mezzi di intrattenimento, internet sono pieni di riferimenti sessuali. Però poi ci stupiamo e ci facciamo un problema se i bambini ci chiedono o ancora peggio vanno a cercare informazioni laddove c'è un grosso rischio che ne abbiano di distorte. Non basta proibire, mettere filtri, controllare.
E' necessario parlare, spiegare, rispondere.
Ma bisognerebbe che anche gli adulti, forse loro per primi, facessero un corso di educazione sessuale.

lunedì 23 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 2)

Marrakech non era così calda come pensavo. Mi ero portata vestiti abbastanza primaverili, non mi ero aspettata l'estate, ma il  caldo primaverile. Invece la temperatura era appena più calda che da noi e la mattina e la sera faceva abbastanza freddo. Però la prima sera non mi sono cambiata subito dopo essere uscita per questo motivo. Avevo indossato un  vestito che mi arrivava appena sopra alle ginocchia e dopo qualche centinaia di metri ho cominciato a sentirmi a disagio. Gli sguardi, in particolare delle donne, non lasciavano dubbi sul fatto che era una lunghezza non consentita. In effetti tutte le donne che ho incontrato in quella sera avevano il velo che copre solo la testa, indossavano delle tuniche oppure portavano dei pantaloni e delle lunghe camice. Gli sguardi delle donne mi hanno messo a disagio, gli uomini in fondo mi guardavano appena. Sono tornata in albergo ed anche i giorni successivi ho sempre indossato i pantaloni. Ho visto dopo anche donne marocchine vestite all'occidentale, sempre con lunghezze sotto le ginocchia, certo. Ho visto anche qualche giovane straniera in pantaloncini o minigonna, poche però e sempre straniere.
Mi sono di nuovo interrogata sul tema  del coprire o dello scoprire il corpo, su quanto in ogni civiltà sembra così importante definire dei limiti sul corpo femminile.
Una sera  in un ristorante abbiamo visto uno spettacolo di danza del ventre o danza orientale, come più propriamente andrebbe chiamata. Erano due giovani donne vestite con la classica gonna ed il corsetto corto che lasciava scoperto il ventre ed i fianchi. C'era poi una donna più anziana e coperta che danzava però con altrettanta maestria, per quanto possa giudicare, e forse anche di più, tenendo in equilibrio sulla testa delle candele.
Certo per quanto ho letto (ma qualcuno dei miei lettori potrebbe dirmi di più) le danzatrici una volta erano donne del popolo che si esibivano in pubblico oppure donne istruite dell'alta società che si esibivano in ambienti chiusi e soprattutto per altre donne, ma erano comunque donne che avevano uno specifico ruolo.
Nel mio lavoro incontro spesso ragazze che mettono tutto il significato della loro identità sul corpo, che si ammalano e a volte arrivano a rischiare di morire per modificare il loro corpo, sul quale investono ogni pensiero e sforzo.
In una società che apparentemente non dà più alcuna importanza ai centimetri che le donne scoprono del loro corpo, ci sono ragazze che rischiano la loro vita per conquistare un corpo perfetto nella sua magrezza, così perfetto da scomparire.
Non conosco l'epidemiologia dei DCA nel mondo musulmano, ma alcuni studi indicano che i disturbi del comportamento alimentare siano  tipici delle società occidentali e ancora poco presenti negli altri paesi.
Chissà se nei paesi a maggioranza musulmana  il velo protegge anche da questi disturbi.
Certo quella sera avrei voluto anch'io scomparire dentro un velo.

sabato 7 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 1)

L'impatto con Marrakech non è stato facile. La sera in cui siamo arrivati c'era un sacco di gente in giro, forse anche perchè era la sera dell'ultimo dell'anno. La piazza Jeema El Fna era stracolma di persone e di luci e di suoni e anche di motorini che sfrecciavano senza rallentare tra la gente. I motorini sono i veri padroni della Medina, vanno dappertutto e velocemente, se qualcuno non si sposta abbastanza presto suonano con insistenza, come avessero ogni diritto di passare. Nella piazza ci sono suonatori di tamburo, danzatori uomini vestiti da donne, incantatori di serpenti, ammaestratori di scimmiette, cantastorie. Il pubblico è formato prevalentemente da persone del posto, a differenza di quanto uno potrebbe aspettarsi da quando la piazza è stata dichiarata Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità i turisti non sono la maggioranza, anche se certo molte delle attività proposte sono indirizzate a loro, ad esempio i venditori di acqua, con il loro costume tipico e colorato, che ora certo non vendono acqua, ma sono lì a farsi fotografare.


Quindi la sera in cui ci siamo trovati nel mezzo dello spettacolo delle persone e delle loro lingue, in mezzo ai suoni così diversi, a facce e colori così intensi, mi sono sentita estranea, straniera, in un modo nel quale raramente mi è capitato. Inoltre pur sapendo che ci avrebbero inondato di richieste mi è sembrato fin troppo invadente il loro modo di proporsi. Fin dall'inizio un signore, che si è presentato come Abdul, si è offerto di accompagnarci nella kasba ed ha preso un ritmo fin troppo veloce, indicandoci vari negozi, ci ha accompagnato subito in una spezieria, voleva poi farci visitare un negozio di artigianato ed infine ci ha portato in due ristoranti. Siamo riusciti ad andare da soli solo dopo qualche cortese tentativo ed abbiamo subito imparato che bisogna essere decisi nel rifiutare le loro proposte.
La sensazione di estraneità è anche dovuta alla distanza che si avverte in questo modo di essere trattati: continuamente c'è la sensazione di essere visti solo come stranieri, turisti, persone in grado di spendere, così come poi questo significa che anche la nostra percezione nei loro confronti cambia, si insinua la convinzione di essere fregati, di non potersi fidare di nessuno. Un esempio che ci è successo più volte: mentre cerchiamo un posto da visitare, la Medersa, il palazzo Bahia, o altri musei, se guardiamo la cartina o chiediamo aiuto a qualcuno la risposta è "ma ora è chiuso, apre alle due, vi porto intanto al mercato delle spezie" o qualcosa di simile. Non è vero che è chiuso fino alle due, la prima volta ci siamo cascati, poi non ci abbiamo più creduto, purtroppo però non abbiamo più creduto neanche ad altre affermazioni date in modo così perentorio.
Verrebbe da dire che ognuno fa il suo mestiere, loro quello di vendere, noi quello di scegliere. Eppure le regole di questo scambio potrebbero essere più chiare o forse per loro ci sono regole culturali più certe, che noi non abbiamo più.
Abbiamo visitato il giorno di capodanno una piazzetta che mi è rimasta nel cuore, dove c'è una spezieria molto carina. In questo negozietto ci ha accolto Said, si è presentato ed ha cominciato a farci vedere alcuni dei suoi preparati. Ci ha fatto accomodare e ci ha offerto un thè, la miscela reale, molto buono. Poi mi ha fatto provare una maschera all'argilla e alle rose, sulla mano destra. Ci ha mostrato vari preparati, ha risposto alle nostre curiosità. Certo il rituale di vendere in questo modo diventa qualcosa di diverso e la gentilezza e la simpatia di Said ci hanno colpito in modo molto più favorevole.

C'è una differenza culturale profonda: il prezzo per loro mi è sembrato essere molto più aleatorio, legato a dinamiche che possono essere relazionali, legate al contesto o al momento della giornata, alla simpatia o alla antipatia. Il modo di vendere è infatti diverso anche da negoziante e negoziante. C'è Said, ma c'è anche il negoziante dei cuscini che dopo averci mostrato la merce ci ha girato le spalle e non ci ha più considerato.
Per me che sono abituata a dire semplicemente mi piace o non mi piace, mi serve o non mi serve, il prezzo è quello che posso pagare oppure no, una cultura della contrattazione del prezzo è spiazzante.
Così come è spiazzante non sapere quanta vicinanza e quanta reale simpatia si è suscitata negli incontri. Certo il problema, come in tutti i viaggi all'estero, è che il contatto avviene prevalentemente con persone che hanno a che fare con stranieri. Non è semplice conoscere persone del posto in pochi giorni, quindi non è possibile definire il carattere di un popolo solo da visitatori.

domenica 11 dicembre 2011

Una sessualità consapevole?

Oggi sul giornale c'erano due notizie che riguardavano due adolescenti di sedici anni. Una ragazza voleva tenere il figlio che aveva avuto con il suo ragazzo albanese, ma i genitori non erano d'accordo e si erano rivolti al giudice del Tribunale per i minorenni. Ovviamente il giudice non poteva imporle nulla, la legge anzi a questa età tutela le ragazze che rimangono in stato interessante nella loro autonomia, sia di abortire, che di tenere un figlio. Sembra che però dopo un colloquio con il giudice la ragazza abbia deciso di seguire le indicazioni dei genitori.
C'era poi nelle pagine seguenti un'altra notizia che riguardava sempre una sedicenne. Questa volta la ragazza aveva raccontato di essere stata violentata da alcuni stranieri e questo racconto aveva addirittura provocato una protesta da parte dei suoi concittadini che si è drammaticamente conclusa con l'assalto, da parte di alcuni, ad un campo rom. Peccato che la ragazza sembra aver raccontato l'episodio della violenza per coprire un rapporto sessuale consensuale che si vergognava di spiegare ai suoi genitori.http://www.unita.it/italia/stupro-a-torino-bruciate-baracche-rom-1.361338
In entrambi i casi il punto mi sembra essere che  se è vero che abbiamo superato diversi tabù relativi al sesso e questo è stato sicuramente un bene, non riusciamo comunque a preparare i ragazzi ad una vita sessuale consapevole.
Mi sono ricordata di aver parlato qualche giorno fa con le mie figlie di aborto e della responsabilità che è legata ai rapporti sessuali. A volte mi sembra di trattarle come delle adulte e di pretendere un po' troppo da loro, ma oggi dopo aver letto queste notizie mi sono detta che è importante continuare a farlo.
Anche se non è facile spiegare e preparare i figli ad un rapporto sereno e responsabile con il sesso, è importante comunque provarci. Non è una garanzia che non succedano certe situazioni, certo, ma le rende meno probabili.
Nella discussione con le mie figlie mi aveva colpito la loro certezza che non avrebbero abortito, il rifiuto totale di prendere in considerazione l'idea. Posso capire che  l'idea della morte di un bambino per loro possa essere davvero difficile da capire e da accettare, come deve esserlo stato per la ragazza che aveva scelto di tenere il figlio avuto da una relazione che per lei evidentemente era importante.
Per questo certe decisioni non dovrebbero mai essere prese, almeno non a questa età, si dovrebbe cercare il più possibile di evitare di trovarsi a prenderle.
Per evitare di trovarsi a scegliere  sarebbe importante informare meglio i ragazzi, dar loro la possibilità di comprare preservativi o di avere contraccettivi facilmente reperibili, di fare "educazione sessuale" e non solo "educazione alla affettività".
Invece nelle scuole superiori si dà per scontato che i ragazzi sappiano tutto sul sesso e non ci si pone il problema di discutere con loro quando, come fare sesso, quali sono le conseguenze sulla loro vita di un momento in cui si è fatto sesso con superficialità. Perchè ad esempio non si prendono i casi della cronaca, come quelli che ho letto oggi e si discutono con i ragazzi? Perchè gli insegnanti non si sentono più autorizzati a farlo? Lo fanno i genitori?
Credo che ci siano molte madri che ci pensano e che ci provano, come sto facendo io. Spero che lo facciano anche i padri con i figli, questo non lo so bene, trovo difficile che sia frequente.
Oggi c'è stata anche la manifestazione del movimento "Se non ora quando", stimolata dalle misure del governo Monti che colpiscono profondamente le donne. Siamo in prima linea perchè vengono colpite ancora le pensioni delle donne, che da sempre fanno un doppio lavoro: in casa e fuori.http://www.unita.it/donne
C'è bisogno che le donne tornino a mobilitarsi e c'è bisogno che torniamo a discutere anche di come educare a una sessualità maggiormente consapevole, perchè poi il peso di certe scelte, o non-scelte, ricade soprattutto sulle donne, sulle nostre figlie, su noi come madri.

martedì 22 novembre 2011

Spiegare il fanatismo a una figlia


In questi giorni ho ritrovato degli appunti di qualche anno fa, quando il caso Englaro faceva discutere. Mia figlia che aveva  solo 11 anni, mi aveva visto e sentito più volte commentare le notizie dei telegiornali e gli articoli di giornale sul caso, a volte anche con rabbia e veemenza, a volte con tristezza.
Ha voluto sapere ed ho dovuto trovare le parole per spiegarle cosa stava succedendo, perché qualcuno parlava di omicidio, ho dovuto spiegare parole difficili come eutanasia, diritto di autodeterminazione, attività cerebrale, rispetto della volontà.
Spiegare ai ragazzi è sempre difficile e stimolante. Ti costringe a pensare i concetti in modo più semplice a partire da ragionamenti che possano essere a loro accessibili, ma senza perdere la complessità e cercando di farli riflettere. Quindi ti costringe anche a ripensare a certi passaggi che a volte dai per scontati.
La parola però che ho trovato più difficile spiegare è stata fanatismo. Quando Eluana è morta ho esclamato “è riuscita a fuggire a questi fanatici! Ce l’ha fatta!” Mi riferivo a quelli che stavano sotto la clinica, a tutti quei parlamentari o giornalisti che hanno preso le sue presunte difese solo per fanatismo, quando non per malafede.
Matilde mi ha chiesto cosa sia un fanatico.
Già! Cos’è un fanatico?
Una persona che crede di avere la verità e che gli altri, quelli che non la pensano come lui, non ce l’hanno.
Una persona che in base alla sua verità pensa di poter imporre le sue scelte agli altri.
“Mamma, ma si usa fanatico anche quando si parla di fan, di musica, di spettacolo, no?”
Si, è vero, anche quelli sono fanatici, infatti sono ossessionati da un unico pensiero, dal loro idolo, che trattano come se fosse un dio.
“I fanatici sono anche quelli delle sette?” (avevamo anche visto un telefilm che parlava di sette e le avevo spiegato anche questa parola).
Già i fanatici sono anche quelli delle sette, che infatti si chiudono al mondo e a volte contro il mondo si uccidono. Perché il fanatismo ha spesso una relazione con la religione.
“Ma cosa significa avere la verità? Come si fa a credere di avere la verità?”
Come si fa?
Non isolandosi, non pensando solo a quanto è giusto per noi, rispettando i punti di vista degli altri, cercando di capire sempre, di accettare anche gli altri.
“Anche i fanatici?”
Già.