sabato 23 febbraio 2013

I democratici, Lincoln e il voto utile.

Confesso la mia ignoranza: non sapevo che il partito repubblicano degli USA era favorevole alla abolizione della schiavitù ed invece il partito democratico era contrario.
Sono uscita dal film  Lincoln di Spielberg  con una nuova informazione che sono subito andata ad approfondire cercando sulla rete. Non credevo ai miei occhi di europea, non ricordavo di aver mai studiato questa parte della storia americana o almeno non avevo mai focalizzato che il partito che oggi esprime il primo Presidente nero degli Stati Uniti fosse stato una volta contrario, per lo più, all'abolizione dello schiavismo della gente nera.
Incredibile. Solo questa informazione vale il film, che invece nel complesso  è un po' noioso.
Tra l'altro navigando nella rete ho trovato un articolo di un professore spagnolo, Vincenc  Navarro, che evidenzia come Lincoln non fosse solo favorevole a questa importante battaglia sui diritti dei neri, ma avesse anche favorito i sindacati di lavoratori e fosse in contatto epistolare con Marx (http://www.democraziakmzero.org/2013/02/02/il-lincoln-che-nel-film-non-ce/). Insomma era in effetti un partito repubblicano ben diverso da quello attuale.
Però il tema principale del film, oppure quello che a me ha colpito maggiormente, riguarda il costo di sostenere e perseguire  obbiettivi fondamentali. Lincoln viene presentato come un personaggio macchiavellico, per il quale il fine  giustifica i mezzi. Non  uso macchiavellico come un termine negativo, infatti Spielberg  non costruisce un personaggio oscuro, casomai un personaggio complesso, più avanti della sua generazione, consapevole che la battaglia per il tredicesimo emendamento non sarebbe stata portata avanti una volta conclusa la guerra. Daniel Day Lewis è capace di ombreggiare efficacemente sia la durezza che l'idealismo di Lincoln. In quel periodo storico non era certo maturato un senso comune diffuso egualitario, neanche un vero rifiuto della schiavitù. C'erano forti motivi economici dietro la guerra civile e ci sarebbero voluti ancora decenni perchè si cominciasse ad affermare l'idea di una uguaglianza effettiva delle razze.
Il Lincoln raccontato da Spielberg è un uomo disposto a compromessi. Fa fare promesse ai parlamentari per acquisire il loro voto, è disposto a rallentare il processo di pace, per ottenere prima il voto positivo al suo emendamento. Si chiede quante vite questo potrà costare. La scena però secondo me più bella è quella nella quale il parlamentare repubblicano Thaddeus Stevens, fermo sostenitore della causa antischiavista, rinnega, in un certo senso, il suo pensiero più radicale, la piena acquisizione dei diritti per i neri, anche quelli politici, pur di far passare l'emendamento della abolizione della schiavitù.
Si vede chiaramente come questa sia una scelta che gli pesa,  Tommy Lee Jones interpreta bene il suo dilemma, ma alla fine è disposto a rinunciare alla piena attuazione dei suoi ideali purchè sia fatto un passo avanti importante verso la liberazione dei neri nel momento attuale. Insomma sostiene il voto utile, utile alla causa del momento piuttosto che alla coerenza con se stessi, utile a migliorare subito le condizioni di migliaia di persone piuttosto che a testimoniare la propria diversità e superiorità.
Chissà se anche oggi, nella giornata di riflessione pre-elezioni,  qualcuno si troverà a fare la stessa scelta.

domenica 17 febbraio 2013

Chi ha fatto il classico?

Lo spettacolo di Paolini ITIS Galileo inizia con una serie di domande al pubblico sulla scuola superiore frequentata. Perchè, ci dice, chi non ha certe nozioni base di filosofia non può capire quale rivoluzione sia stato il Discorso sui massimi sistemi di Galileo.  Mi ha fatto ricordare che una delle materie che amavo di più era proprio Filosofia. Lo spettacolo sulla vita di Galileo riesce allo stesso tempo a ricostruire, attraverso le vicende biografiche del fisico e scienziato, l'atmosfera del tempo e a sottolineare la novità della proposta di Galileo, che non sta tanto nel sostegno al sistema copernicano, ma nella possiilità di dimostrarne la verità attraverso il metodo osservativo della scienza moderna.
Galileo fu costretto ad abiurare il sistema copernicano perchè aveva trovato il metodo per dimostrare, sulla base di osservazioni ed esperimenti, che quella teoria era presumibilmente vera, più vera della Tradizione, più vera delle Scritture. Paolini racconta che l'invenzione del cannocchiale è stata la vera svolta. E' un teatro che tiene avvinti, ma che educa, facendo ridere e pensare. Chi ha fatto il classico si ricorderò allora che la funzione del teatro nella polis greca era anche quella di educare, di condividere valori e pensieri della comunità, una funzione riflessiva. Mi è venuta nostalgia degli anni nei quali discutevamo di Platone e Aristotele, di Socrate e poi di Cartesio e Kant e Hegel e Nietzche. Erano gli anni nei quali leggevamo le tragedie, a volte anche in greco, di Eschilo ed Euripide.  Un piccolo gruppo di amici: frequentavamo la stessa classe, studiavamo insieme e polemizzavamo spesso, come se certe idee ci riguardassero da vicino, come se non si trattasse soltanto di qualcosa da imparare, ma di argomenti che potevano decidere della nostra vita. Sono le idee che cambiano il mondo, sono le idee che plasmano il futuro. Ma le idee nascono in un  contesto sociale, in un detrminato momento storico, nascono e vivono inosservate, come la proposta di Copernico, oppure diventano una rivoluzione, se associate ad un altro modo di osservare i fenomeni della natura. Nascono, si diffondono, sembrano scomparire, poi rimangono e risorgono. Forse Galileo non ha mai detto "Eppur si muove", ma questa frase ben rappresenta la capacità di un'idea di resistere.
Sarebbe bello che in tutte le scuole superiori si studiasse la Filosofia, sarebbe bello che il teatro fosse ancora il modo di una comunità di riflettere sui propri valori, sui progetti e sulle idee che ci appartengono. Come il teatro civile di Paolini.
Perchè non è vero che fare il classico non serve a niente. Invece se ogni scuola superiore  stimolasse il senso critico ed il relativismo delle idee, che solo la storia della filosofia può insegnare e che naturalmente gli adolescenti perseguono, non ci ritroveremmo a combattere troppo spesso con banalizzazioni e semplificazioni pubblicitarie. I pensieri slogan crescono in menti unificate.
Il dubbio del metodo scientifico, così come la dialettica delle opere teatrali sono dei buoni antidoti.





lunedì 11 febbraio 2013

Le divisioni a sinistra....per una politica del "ma anche"..

I più acerrimi nemici della sinistra si trovano a sinistra. La storia dei movimenti della sinistra europea si è svolta  con aspri conflitti interni. Alla prima  divisione tra socialisti e comunisti  ne sono  seguite molte altre. Le scissioni hanno caratterizzato la storia dei partiti sovietici, di quelli socialdemocratici, dei partiti italiani che continuano a frammentarsi sull'ala radicale.
Ora che si avvicinano le elezioni e che una coalizione di centrosinistra, che finalmente ha una maggiore quota  di sinistra di quanto non ne avesse l'Ulivo di Prodi, ha delle serie possibilità di vincere, viene naturale interrogarsi sulle motivazioni dell'accanimento con il quale ancora ci si divide. C'è il rischio  che la estremizzazione del conflitto a sinistra faccia uscire una maggioranza labile, che a quel punto dovrebbe per forza ricercare un' alleanza al centro. Proprio ieri sera ho sentito dire ad Ingroia che Bersani si è alleato con Monti, quando sono giorni che il povero Bersani sta ribadendo che l'unica alleanza è quella per la quale sono state fatte le primarie, cioè quella con Vendola e Tabacci.
Si potrebbe pensare che la dialettica a sinistra sia la necessaria proprietà di un sistema di opinioni che in fondo esprime il rispetto di più posizioni, la capacità di confronto anche estremo, la possibilità di esprimere idee nuove ed il sogno di vederle realizzare.
Negli schieramenti di destra, dove è più forte il principio autoritario, è più difficile, o forse meno evidente, la contrapposizione interna ai partiti. E' minore la tendenza a proporre soluzioni diverse da quelle già attuate, dato che l'ideologia prevalente è la conservazione dell'esistente ordine sociale, immaginato  spesso come naturale.
Nei partiti di sinistra invece è più forte la tentazione di affermare le proprie ragioni contro le ragioni di chi in realtà è più vicino e proviene da una base di valori comuni. Anzi a volte sembra che della vittoria elettorale  non interessi proprio, come se l'unico interesse fosse quello di testimoniare un ideale più giusto di quello proposto dal partito immediatamente concorrente. Tra la concreta possibilità di governo ed una utopica prospettiva di cambiamento si sceglie sempre e aprioristicamente la seconda. Come se fosse possibile cambiare un paese perdendo le elezioni.
Ho letto ad esempio il manifesto elettorale di Rivoluzione Civile. Ecco alcune proposte:
patrimoniale per i ricchi, fermare la TAV, ritiro militari dalle zone di guerra, matrimoni e adozioni gay, cancellazione riforma delle pensioni, abolizione delle  province, riduzione costi della politica, ridurre stipendi dirigenti pubblici, bloccare l'acquisto degli F-35.
Accanto ad ognuna delle voci c'è il SI di Ingroia ed il NO di Bersani, accomunato a Monti e a Berlusconi. Manca Vendola, perchè in effetti molte dei progetti sono simili, se non uguali, alle proposte di SEL, ed era quindi difficile per Rivoluzione Civile differenziare le posizioni di Sinistra e Libertà dalle proprie. Attraverso questo trucco di omissione si otiiene  una presentazione efficace, si sceglie di puntare sull'idea "siamo radicali", "siamo i soli a difendere queste idee", "siamo la sinistra vera".
Però le idee non sono argomentate, esplicitate in passi concreti, non si definisce come verranno attuate e finanziate, inoltre non è chiaro soprattutto insieme a quali formazioni politiche si vogliono mettere in atto, dato che è ovvio che non avranno una maggioranza, neanche relativa.
Il Partito Democratico è stato spesso accusato  di avere programmi prolissi, pieni di  mediazioni. Infatti sul suo sito per ogni tema ci sono pagine di proposte, da leggere e riflettere. Una classica parodia è stata quella di mettere in bocca a Veltroni l'intercalare "ma anche". E' una parodia che coglie un aspetto reale e secondo me un punto di forza della posizione del PD.
Non ci sono semplici SI e NO, nei programmi democratici. Si afferma che è bene mantenere l'IMU sui redditi immobiliari più alti e si propone di eliminarla alle prime case dei redditi più bassi. Si propone una politica fiscale che scoraggi le rendite finanziarie ed insieme si progetta il pagamento degli arretrati dovuti alle imprese dalle aziende pubbliche, per rimettere in moto il mercato economico. Si pensa alla economia verde come un motore di sviluppo per nuove imprese, così le battaglie ambientali non sono solo bandiere di NO. Si prova a ragionare cioè in termini articolati e non in bianco e nero. Allo stesso modo il PD propone  il riconoscimento dei diritti civili alle coppie omosessuali, come avviene in Germania, e che sarebbe già un passo importante per la nostra cultura. Sulla riduzione dei costi sono molte le proposte del PD che sono anche già state attuate, come la riduzione delle province o la riduzione delle pensioni ai parlamentari.
Mentre Rivoluzione Civile dimentica che la riduzione dei costi della politica, se ora viene appoggiata solo perchè attualmente è uno dei cavalli di battaglia del populismo, ha però come conseguenza la diminuizione  dei finanziamenti proprio ai partiti che non hanno alle spalle lobby economiche e finanziarie in grado di sostenerli.
I partiti che hanno  delle opportunità di governare  sanno che per farlo hanno bisogno di mediare anche con partiti che non sono sulle stesse posizioni. Solo mediando è possibile realizzare i cambiamenti necessari dopo dieci anni di Berlusconi. Per un governo di centrosinistra sarà più facile andare vicino a un vero riequilibrio fiscale sui patrimoni se le forze politiche con le quali mediare saranno quelle di SEL e non invece quelle di Monti. Ma alle coalizioni come Rivoluzione Civile sembra non interessare davvero che certe proposte vengano attuate, è più importante passare per gli unici dalla parte della ragione e della uguaglianza, anche a costo di perdere le elezioni e di farle perdere a tutta la sinistra, anche al costo di non governare mai.
Sembra cioè che le ragioni identitarie prevalgano su quelle politiche. Sembra, ma vorrei certo sbagliarmi, che per chi sceglie di votare una coalizione come Rivoluzione Civile, sia preminente l'appartenenza alla schiera degli idealisti, delle anime belle che non fanno sconti a nessuno,  piuttosto che la ricerca di alleanze e di mediazioni che portino davvero al governo.
Invece il PD cerca alleanze e soluzioni di mediazioni, anche a costo di non realizzare la scelta ottimale. In un governo democratico forse si è destinati a realizzare solo scelte migliori di altre, non le scelte ottimali.
In effetti, a pensarci bene, la differenza è la stessa che c'era più di un secolo fa. La  divisione è sempre quella tra chi crede che le riforme possano essere realizzate democraticamente e con approssimazioni all'ottimale, i miglioristi, e tra chi crede che la sola strada sia la rivoluzione contro il sistema democratico, finzione di uguaglianza, e l'instaurazione di una dittatura di pochi eletti, che sanno meglio degli altri cosa è giusto per tutti, i massimalisti.
La  divisione è tra chi crede che non ci siano alternative alla democrazia ed al suo sistema continuo di mediazioni, di alternanza tra destra e sinistra, di alleanze anche con il centro, e chi crede che sia ancora possibile sognare una società che faccia a meno di mediazioni, perchè prima o poi, in un sistema comunista, tutti saranno d'accordo su cosa è giusto.
Mio padre mi ha insegnato una differenza importante tra socialisti e comunisti. Mi diceva che i socialisti sostenevano che ad ognuno fosse dato in base al proprio lavoro, mentre i comunisti sostenevano che ad ognuno fosse dato in base ai suoi bisogni.
Certo  sarebbe bello che si realizzasse una società nella quale ogni bisogno venisse soddisfatto. Ma  chi decide quali sono i bisogni che hanno la priorità? Chi decide quali sono i bisogni di persone diverse? Come si fa a decidere in quale modo soddisfarli?
Ecco il punto, a mio avviso.Credo che le posizioni di una sinistra che non è disposta a mediare e che per questo si può permettere di sognare un cambiamento radicale contengano in fondo un grosso rischio, quello di pensare che ci sia un unico modo di arrivare ad una società più giusta e soprattutto che ci sia un'unica società giusta.
Mentre le posizioni del "ma anche", le posizioni di una sinistra che tende ad includere, raggiungono forse dei cambiamenti parziali, ma con la partecipazione più ampia possibile e la più dialettica possibile, senza pensare di rappresentare o di sapere già come sarà una società giusta.