sabato 18 febbraio 2017

Il ragazzo di Lavagna.

Ogni volta che vedo la notizia di un suicidio di un adolescente non posso fare a meno di leggere gli articoli, i commenti.
Cerchiamo una spiegazione, molto spesso una o più responsabilità, molti giudicano o interpretano.
E' comprensibile.
Il suicidio è sempre un gesto sovversivo, scandaloso, inconcepibile.
Il suicidio di un adolescente lo è mille volte di più.
Tutti ci sentiamo coinvolti,ci sembra che i legami che formano le nostre piccole vite, il senso  che ogni giorno diamo allo svegliarsi, all'alzarsi dal letto, allo svolgere i compiti quotidiani, tutte le azioni che abitiamo senza consapevolezza, improvvisamente perdano la loro spaventosa ovvietà.
Basterebbe pochissimo per infrangere la scontatezza del nostro vivere.
Ad un ragazzo  basta un semplice velocissimo impulso.
La vergogna, la paura, la delusione.
Ed un volo da un piano alto.
Poi vengono i tentativi di comprendere e di spiegare, che però assomigliano troppo a dare la colpa a qualcuno.
Lo so per esperienza, i primi a cercare la  colpe sono i genitori.
Nel caso del ragazzo di Lavagna, del quale non sappiamo neanche il nome, e definiamo suicida, con tutto lo stigma che questa definizione porta con sé, il padre si è subito accusato di non averlo capito.
La madre ha detto di essere stata lei ad aver chiamato la Guardia di Finanza, per proteggerlo ovviamente, credendo di spaventarlo e fermarlo dall'uso delle droghe che faceva.
Su queste due semplici notizie si stanno facendo illazioni, deduzioni, indagini.
Si danno giudizi, ci si schiera pro o contro.
In fondo siamo in Italia, dove il vero sport nazionale è  creare contrapposizioni radicali.
Ci sono anche giuste considerazioni politiche sul senso di proibire o legalizzare le droghe "leggere".

Io ho i conati di vomito.
Mi sento male.
Riesco solo a sentire il dolore, il dolore dei genitori, degli amici, di chi lo conosceva e lo amava.
Il mio dolore e il dolore di chi come me ha perso un figlio in questo modo assurdo.
Penso: fermatevi, smettetela.
Anche gli psicologi, anche gli psichiatri, i sociologi, smettetela.
I giornalisti, le persone comuni che su Facebook commentano, parlano come se sapessero di dialogo con i figli, di educazione, di metodi per capirli, della loro esperienza con le droghe.
Smettetela.
Non lo sapete, non sapete niente.
Non sapete cosa significa rivivere ogni giorno ogni istante tutto quello che si poteva fare e non si è fatto, che si poteva dire e non si è detto.
Oppure quello che si è fatto e detto  e dopo non si sarebbe più voluto fare o dire, ma non si può tornare indietro. Senza sapere quale è stato l'errore, senza riuscire a rintracciare esattamente l'azione e la parola, perchè ogni azione e parola ne ha un'altra concatenata ed ogni storia parte da lontano e non ha un'unica strada. Non c'è mai un solo svincolo decisivo.
Non lo sappiamo noi.
Non lo sapete voi.

Lasciamo che i genitori, i familiari, gli amici  rivivano con le persone di cui si fidano quanto è successo, lasciamo che siano loro a comprendere, a darsi un senso, per quanto è possibile farlo.
Facciamo un passo indietro, facciamo silenzio.