domenica 12 marzo 2017

Marinelli già lo amavo, Fabio Mollo l'ho scoperto.

Il 2017 è partito molto bene per la mia cinefilia:

Paterson è un film sulla poesia, in cui la parola è una protagonista, anche dal punto di vista visivo. Le parole scorrono sullo schermo, in lingua originale, si sovrappongono alle immagini, cercano un loro posto. Le parole, che il protagonista non usa molto nelle sue interazioni con gli altri, sono invece il punto centrale della sua vita quotidiana: mentre guida, mentre osserva, mentre ascolta la moglie, le parole ritornano e si sistemano in versi, trovano il posto e danno un posto alle sue esperienze e alle sue emozioni.

Animali notturni è un film sulla vendetta più che sull'amore. La scena iniziale, che  non si concilia molto con il resto del film, è però quella che ha un impatto maggiore. Sconvolgente e accattivante, mette in ridicolo i nostri pregiudizi. Mentre la osservavo pensavo che di nudi così non se ne vedono mai sui nostri media. Vale da sola tutto il film.

Silence è un film sul proselitismo, sullo scontro tra culture, direi, più che sulla religione. Una bellissima fotografia mostra un Giappone inedito, con una natura spaventosa almeno quanto le pratiche terribili della tortura. Ma mi ha lasciato un senso profondo di incompiutezza, nonostante il tentativo di rendere la profondità della fede, coltivata nel silenzio,  il contrasto con la messa in scena della violenza mi è apparso eccessivo.

Il cliente è un film sulla vergogna nella coppia. Perché  è la vergogna che impedisce di parlarsi, è la vergogna che spinge a cercare la soddisfazione di una riparazione. La messa in scena de La morte di un commesso viaggiatore fa da controcanto, come in un film di Truffaut. Non mi sorprende che abbia vinto l'Oscar.

Su Arrival ho già scritto e non sto a ripetermi (arrival-il-tempo-che-ritorna.html).

Ma  Il padre d'Italia, di Fabio Mollo, è finora il film più bello.

Gli attori, in primo luogo: Luca Marinelli mi aveva già fatto innamorare nel film Tutti i santi giorni, poi ha dato una prova bellissima in Non essere cattivo, fino a vincere ogni mio dubbio nel ruolo dello Zingaro, ne Lo chiamavano Jeeg Robot.  Ha una capacità eclettica di trasformarsi, a volte è quasi difficile riconoscerlo da un film  all'altro.
Nel film di Mollo interpreta un ragazzo  che viene lasciato dopo otto anni dal suo compagno, contrario all'adozione per i gay: una recitazione senza alcun tratto, finalmente, caricaturale, che non segue nessun clichè. Sembra un ragazzo come tanti, triste e introverso, ma con il coraggio di farsi travolgere da una strana, esuberante ragazza incinta.
Isabella Ragonese l'avevo scoperta nel film stupendo di Luchetti La nostra vita, accanto a Elio Germano, in un ruolo simile a quello che interpreta in Il Padre d'Italia. Riesce ad essere una ragazza inquieta, senza dover troppo caricare, marcare la sua "pazzia". Ha a volte dei silenzi improvvisi molto intensi. La scena ripresa fuori dal finestrino della macchina è magica.

Il regista, Fabio Mollo,  mi era invece del tutto sconosciuto, ho letto che ha già fatto alcuni corti e lungometraggi, che ora andrò a cercare.
E' calabrese e già questo mi piace.
Come tutti i meridionali è ossessionato dal viaggio al sud: la coppia si incammina in una ricerca, secondo Paolo, del vero padre della bambina e secondo Mia.... non si sa.
Però Mia arriva a casa, dalla madre. Intanto anche Paolo continua a sognare sua madre e si ferma a trovare chi l'ha cresciuto.
Ci sono tante storie, tanti sviluppi che si possono rintracciare, ma il regista non difende nessuna tesi, non  vuole dimostrare, ma mostrare. Accenna, segue i personaggi nel loro sviluppo, inquadra solo alcuni tagli, spesso asimmetrici, decentrati. Quando è necessario, solo strettamente necessario, inquadra gli occhi azzurrissimi di Marinelli o il viso spigoloso della Ragonese.
Parla di assumersi la responsabilità, di fuggire dalle responsabilità. Racconta le scelte di chi vuole un figlio e la legge non lo permette, e di chi lo ha ma non sa come crescerlo. Segue in Paolo il desiderio di diventare un padre, con delicatezza, con intensità, senza giudicare nessuno.
Un film che non ha tesi e che andrebbe fatto vedere a chi invece di tesi ne ha fin troppe, sul "gender", sull'essere "bravi" genitori.
Non vi anticipo la bellissima battuta con cui si chiude, perché forse ho già spoilerato troppo a chi non lo ha ancora visto,  ma vale la pena sentirla.

Ieri avevo visto anche un altro film, su Sky, La grande rabbia, di Claudio Fragasso. Ecco lo cito solo per dire che invece questo è un film a tesi, che oltretutto è recitato anche male: la storia della periferia di Tor Sapienza, degli scontri tra la polizia, che difendeva gli immigrati, e i cittadini, intrecciata alla storia di una amicizia tra un italiano bianco e uno nero, di destra. L'idea sarebbe anche interessante, se non fosse appunto così scontata, così "dimostrativa". I dialoghi, le scene, lo stesso intreccio erano già prevedibili dall'assunto iniziale, perfino dal titolo. Peccato.