lunedì 23 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 2)

Marrakech non era così calda come pensavo. Mi ero portata vestiti abbastanza primaverili, non mi ero aspettata l'estate, ma il  caldo primaverile. Invece la temperatura era appena più calda che da noi e la mattina e la sera faceva abbastanza freddo. Però la prima sera non mi sono cambiata subito dopo essere uscita per questo motivo. Avevo indossato un  vestito che mi arrivava appena sopra alle ginocchia e dopo qualche centinaia di metri ho cominciato a sentirmi a disagio. Gli sguardi, in particolare delle donne, non lasciavano dubbi sul fatto che era una lunghezza non consentita. In effetti tutte le donne che ho incontrato in quella sera avevano il velo che copre solo la testa, indossavano delle tuniche oppure portavano dei pantaloni e delle lunghe camice. Gli sguardi delle donne mi hanno messo a disagio, gli uomini in fondo mi guardavano appena. Sono tornata in albergo ed anche i giorni successivi ho sempre indossato i pantaloni. Ho visto dopo anche donne marocchine vestite all'occidentale, sempre con lunghezze sotto le ginocchia, certo. Ho visto anche qualche giovane straniera in pantaloncini o minigonna, poche però e sempre straniere.
Mi sono di nuovo interrogata sul tema  del coprire o dello scoprire il corpo, su quanto in ogni civiltà sembra così importante definire dei limiti sul corpo femminile.
Una sera  in un ristorante abbiamo visto uno spettacolo di danza del ventre o danza orientale, come più propriamente andrebbe chiamata. Erano due giovani donne vestite con la classica gonna ed il corsetto corto che lasciava scoperto il ventre ed i fianchi. C'era poi una donna più anziana e coperta che danzava però con altrettanta maestria, per quanto possa giudicare, e forse anche di più, tenendo in equilibrio sulla testa delle candele.
Certo per quanto ho letto (ma qualcuno dei miei lettori potrebbe dirmi di più) le danzatrici una volta erano donne del popolo che si esibivano in pubblico oppure donne istruite dell'alta società che si esibivano in ambienti chiusi e soprattutto per altre donne, ma erano comunque donne che avevano uno specifico ruolo.
Nel mio lavoro incontro spesso ragazze che mettono tutto il significato della loro identità sul corpo, che si ammalano e a volte arrivano a rischiare di morire per modificare il loro corpo, sul quale investono ogni pensiero e sforzo.
In una società che apparentemente non dà più alcuna importanza ai centimetri che le donne scoprono del loro corpo, ci sono ragazze che rischiano la loro vita per conquistare un corpo perfetto nella sua magrezza, così perfetto da scomparire.
Non conosco l'epidemiologia dei DCA nel mondo musulmano, ma alcuni studi indicano che i disturbi del comportamento alimentare siano  tipici delle società occidentali e ancora poco presenti negli altri paesi.
Chissà se nei paesi a maggioranza musulmana  il velo protegge anche da questi disturbi.
Certo quella sera avrei voluto anch'io scomparire dentro un velo.

sabato 21 gennaio 2012

Meditazione mindfulness II

A dicembre ho finito il corso introduttivo alla mindfulness.  Come dicevo nel post di novembre non è stato facile applicarsi quotidianamente e durante la meditazione "lasciare andare" i pensieri. Però una volta sono riuscita a bloccare uno dei miei impossibili mal di testa ed un'altra  ho affrontato un esame medico che mi metteva ansia senza usare antidolorifici. In entrambi i casi mi è stato utile concentrarmi sul respiro, immaginare e sentire che il respiro attraversava le zone che dolevano. Uno degli insegnamenti delle pratiche infatti è non rifuggire le esperienze spiacevoli, ma concentrarsi su di esse. Come in tutte le  esperienze della vita le sensazioni, anche quelle spiacevoli, se non ci opponiamo,  passano. Se a volte facevo fatica ad addormentarmi bastava iniziare a praticare la tecnica del "body scan" che mi ritrovavo a sonnecchiare. Non è proprio l'effetto che dovrebbe fare, ma funziona per allontanare i pensieri che sono i veri disturbatori del sonno. Quindi alla fine del corso mi sentivo molto motivata a continuare la pratica della meditazione, perché è una pratica che ha avuto degli effetti davvero importanti. Ma poi, un po' per  le vacanze, un po' per  il fatto di non continuare insieme al gruppo, ho rallentato le pratiche quotidiane. Ho rimandato le pratiche formali (la meditazione guidata) e quasi annullato quelle informali (la concentrazione sul momento presente nello svolgimento di una attività). Mi è rimasto un atteggiamento mentale che mi aiuta a superare i momenti di inquietudine e difficoltà ricordandomi che sono solo momenti e che in genere, se non li avverso e non vi costruisco intorno una sovrastruttura di giudizi negativi o di sensi di colpa, passano. I momenti negativi passano, sono le nostre aspettative  che spesso ci fanno opporre a quanto succede e ostacolano e quindi complicano gli eventi.
Sento il bisogno di continuare questa esperienza, ho la certezza che può funzionare solo con un costante allenamento e che solo le pratiche quotidiane possono modificare stabilmente l'inquietudine, l'ansia, lo stress di  vivere.

venerdì 13 gennaio 2012

La morte pulita

Ieri sera abbiamo visto un film diverso dai soliti: Kill me please di Olias Barco, regista francese.
Come e perchè si desidera morire? Quale è la morte migliore? Se si potesse scegliere quale desiderio si vorrebbe realizzare? Quali condizioni possono far desiderare la morte? Si è lucidi quando si fa questa scelta?
Sono tante le domande che la visione di Kill me please fa nascere e non c'è assolutamente nessuna risposta. 


Il film ha vinto il premio Marco Aurelio d'oro del Festival di Roma. Ho letto recensioni discrepanti, ma a me è piaciuto molto.Mi ha sorpreso, mi ha interessato il vertice grottesco, assolutamente non è un trattato sull'eutanasia, nè vuole sostenere alcuna tesi, se non forse che chi cerca la morte ha in realtà una carica aggressiva altrettanto forte del suo desiderio. Mi è piaciuta la trasformazione anche stilistica tra la prima e la seconda parte del film, il crescendo dalla ricerca di una morte pulita all'esplodere della  morte folle, sanguinosa e pulp. Il fatto che la pellicola è girata in bianco e nero aiuta l'effetto discrepante che si ottiene dalla asetticità e freddezza iniziale alla confusione e alla macelleria del finale. I personaggi  non sono esplorati in modo approfondito, sono accennati, come spunti di possibilità, eppure rendono il senso che la morte non è mai la stessa, non è mai pulita, non è sicuramente solo una fine.
Bello, davvero.






sabato 7 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 1)

L'impatto con Marrakech non è stato facile. La sera in cui siamo arrivati c'era un sacco di gente in giro, forse anche perchè era la sera dell'ultimo dell'anno. La piazza Jeema El Fna era stracolma di persone e di luci e di suoni e anche di motorini che sfrecciavano senza rallentare tra la gente. I motorini sono i veri padroni della Medina, vanno dappertutto e velocemente, se qualcuno non si sposta abbastanza presto suonano con insistenza, come avessero ogni diritto di passare. Nella piazza ci sono suonatori di tamburo, danzatori uomini vestiti da donne, incantatori di serpenti, ammaestratori di scimmiette, cantastorie. Il pubblico è formato prevalentemente da persone del posto, a differenza di quanto uno potrebbe aspettarsi da quando la piazza è stata dichiarata Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità i turisti non sono la maggioranza, anche se certo molte delle attività proposte sono indirizzate a loro, ad esempio i venditori di acqua, con il loro costume tipico e colorato, che ora certo non vendono acqua, ma sono lì a farsi fotografare.


Quindi la sera in cui ci siamo trovati nel mezzo dello spettacolo delle persone e delle loro lingue, in mezzo ai suoni così diversi, a facce e colori così intensi, mi sono sentita estranea, straniera, in un modo nel quale raramente mi è capitato. Inoltre pur sapendo che ci avrebbero inondato di richieste mi è sembrato fin troppo invadente il loro modo di proporsi. Fin dall'inizio un signore, che si è presentato come Abdul, si è offerto di accompagnarci nella kasba ed ha preso un ritmo fin troppo veloce, indicandoci vari negozi, ci ha accompagnato subito in una spezieria, voleva poi farci visitare un negozio di artigianato ed infine ci ha portato in due ristoranti. Siamo riusciti ad andare da soli solo dopo qualche cortese tentativo ed abbiamo subito imparato che bisogna essere decisi nel rifiutare le loro proposte.
La sensazione di estraneità è anche dovuta alla distanza che si avverte in questo modo di essere trattati: continuamente c'è la sensazione di essere visti solo come stranieri, turisti, persone in grado di spendere, così come poi questo significa che anche la nostra percezione nei loro confronti cambia, si insinua la convinzione di essere fregati, di non potersi fidare di nessuno. Un esempio che ci è successo più volte: mentre cerchiamo un posto da visitare, la Medersa, il palazzo Bahia, o altri musei, se guardiamo la cartina o chiediamo aiuto a qualcuno la risposta è "ma ora è chiuso, apre alle due, vi porto intanto al mercato delle spezie" o qualcosa di simile. Non è vero che è chiuso fino alle due, la prima volta ci siamo cascati, poi non ci abbiamo più creduto, purtroppo però non abbiamo più creduto neanche ad altre affermazioni date in modo così perentorio.
Verrebbe da dire che ognuno fa il suo mestiere, loro quello di vendere, noi quello di scegliere. Eppure le regole di questo scambio potrebbero essere più chiare o forse per loro ci sono regole culturali più certe, che noi non abbiamo più.
Abbiamo visitato il giorno di capodanno una piazzetta che mi è rimasta nel cuore, dove c'è una spezieria molto carina. In questo negozietto ci ha accolto Said, si è presentato ed ha cominciato a farci vedere alcuni dei suoi preparati. Ci ha fatto accomodare e ci ha offerto un thè, la miscela reale, molto buono. Poi mi ha fatto provare una maschera all'argilla e alle rose, sulla mano destra. Ci ha mostrato vari preparati, ha risposto alle nostre curiosità. Certo il rituale di vendere in questo modo diventa qualcosa di diverso e la gentilezza e la simpatia di Said ci hanno colpito in modo molto più favorevole.

C'è una differenza culturale profonda: il prezzo per loro mi è sembrato essere molto più aleatorio, legato a dinamiche che possono essere relazionali, legate al contesto o al momento della giornata, alla simpatia o alla antipatia. Il modo di vendere è infatti diverso anche da negoziante e negoziante. C'è Said, ma c'è anche il negoziante dei cuscini che dopo averci mostrato la merce ci ha girato le spalle e non ci ha più considerato.
Per me che sono abituata a dire semplicemente mi piace o non mi piace, mi serve o non mi serve, il prezzo è quello che posso pagare oppure no, una cultura della contrattazione del prezzo è spiazzante.
Così come è spiazzante non sapere quanta vicinanza e quanta reale simpatia si è suscitata negli incontri. Certo il problema, come in tutti i viaggi all'estero, è che il contatto avviene prevalentemente con persone che hanno a che fare con stranieri. Non è semplice conoscere persone del posto in pochi giorni, quindi non è possibile definire il carattere di un popolo solo da visitatori.