martedì 16 gennaio 2018

La crisi del giudizio, personale ed opinabile. Cinema 2017.



A venti anni sembra di avere ogni possibilità aperta: poter essere chiunque,  diventare chiunque, scegliere qualsiasi strada si desideri.
A cinquanta  molte strade si sono chiuse, sono diventate impervi sentieri di montagna, dai quali si può solo guardare indietro, in basso. Se va bene si ammirare il panorama, altrimenti si è circondati da nuvole tristi.
Davanti alla finestra nella mia stanza da studentessa universitaria guardavo le persone che passavano frettolose in strada, nei loro vestiti leggeri. Preparavo uno dei miei primi esami di psicologia, mi sentivo entusiasta di quello che stavo studiando e piena di voglia di imparare e di conoscere. Credevo fermamente di avere un futuro splendido davanti a me.
Oggi quello che leggo raramente mi entusiasma, ho come l'impressione di non trovare più qualcosa che possa appassionarmi. Anche le persone hanno smesso di sorprendermi, pur trovando ancora interessanti le loro storie. Il futuro non mi appare splendido, a volte quasi non appare.
Ancora stilo liste di libri che ho letto e che mi piacerebbe leggere, così come scrivo liste di film che ho visto e quelli che ancora mi mancano.
Mi piaceva fare classifiche, dare giudizi, scegliere, ora non mi risulta più così invitante.
Sono già due settimane che apro e chiudo questo post su blogger, alla ricerca di una ispirazione che mi convinca, di una trama che unisca le mie scelte, di un pensiero unitario, che dia un senso.
Invece niente. 
Ho guardato e riguardato la mia lista di film del 2017, sono 45 quelli che ho ritenuto meritevoli di entrarvi, di questi solo 18 sono quelli visti al cinema (ho escluso però i documentari del Clorofilla film festival, che meriterebbero un esame a parte). Ne seleziono 10 dalle ultime uscite. ma non li metto in ordine, è solo  un piccolo mosaico di suggerimenti, per chi li avesse persi.

Silence, di Martin Scorsese è un film sul proselitismo, sullo scontro tra culture, direi, più che sulla religione. Una bellissima fotografia mostra un Giappone inedito, con una natura spaventosa almeno quanto le pratiche terribili della tortura. Mi ha lasciato un senso profondo di incompiutezza: nonostante il tentativo di rendere la profondità della fede, coltivata nel silenzio,  il contrasto con la messa in scena della violenza mi è apparso eccessivo.

Il padre d'Italia, di Fabio Mollo, ha come tema quello di assumersi la responsabilità o di fuggire dalle responsabilità. Racconta le scelte di chi vuole un figlio e la legge non lo permette, e di chi lo ha ma non sa come crescerlo. Segue in Paolo il desiderio di diventare un padre, con delicatezza, con intensità, senza giudicare nessuno. Mentre Mia fa i conti con la sua famiglia. Insieme percorrono l'Italia. 

Un film che non ha tesi e che andrebbe fatto vedere a chi invece di tesi ne ha fin troppe, sul "gender" e sull'essere "bravi" genitori.

Arrival, di Denis Villeneuve. Non ci pensiamo spesso, ma uno dei presupposti della comprensione umana è quello di condividere lo stesso corpo, lo stesso ambiente. Mangiare è una delle parole più facile da mostrare e da poter comprendere, ma come si comunica con una specie che ha un corpo diverso dal nostro, con il quale probabilmente non condividiamo nessun tipo di esperienza sensoriale?
Eppure si parte dai sensi, quelli più primordiali: Louise mostra le sue mani.
Anche gli alieni mostrano le loro estremità in  un gesto simile: attraverso il vetro, ancora una volta, si ripete il gesto che unisce le mani di Adamo e  di Dio 

Paterson, di Jim Jarmush, è un film sulla poesia, in cui la parola è una protagonista, anche dal punto di vista visivo. Le parole scorrono sullo schermo, in lingua originale, si sovrappongono alle immagini, cercano un loro posto. Le parole, che il protagonista non usa molto nelle sue interazioni con gli altri, sono invece il punto centrale della sua vita quotidiana: mentre guida, mentre osserva, mentre ascolta la moglie, le parole ritornano e si sistemano in versi, trovano il posto e danno un posto alle sue esperienze e alle sue emozioni.


Il cliente, di Ashgar Farhadi,  è un film sulla vergogna nella coppia. Perché  è la vergogna che impedisce di parlarsi, è la vergogna che spinge a cercare la soddisfazione di una riparazione. La messa in scena de La morte di un commesso viaggiatore fa da controcanto all'azione, come nel film di Truffaut, L'ultimo metrò. Il ritmo è un po' lento, per noi abituati oramai a messe in scene più veloci, ma ogni pausa è pensata ed utile.


Indivisibili, di Edoardo De Angelis. Una sceneggiatura inquietante porta alla ribalta un mondo periferico, che si fatica a riconoscere, ma che è ancora vitale e ricco. Personaggi che sono descritti con pochi tratti riescono ad essere credibili. Le due attrici protagoniste della simbiosi davvero molto brave. Commoventi senza retorica. Da notare anche la fotografia un po' sporca, sui toni del blu, malinconica.


Ammore e malavita, dei Manetti Bros. Un musical? Una commedia? Una storia d'amore? Un film di costume? In ogni caso divertentissimo, surreale e convincente, con attori fantastici e trasfigurati rispetto ai loro soliti ruoli. Una vera sorpresa.


L'insulto, di  Zlad Doueiri, è una  storia forte, con un tema di quelli che mettono in gioco passioni, ferite, ingiustizie, schieramenti. L'eterna questione medio-orientale è presentata da una prospettiva diversa ed il colpo di scena finale fa riflettere. Anche in questo film libanese, come in quello iraniano, la recitazione ha dei toni teatrali, misurati e intensi.

Risultati immagini per 50 primavere
The place, di Paolo Genovese. Quando in un film conta più l'idea che la messa in scena: cosa sei disposto a fare per raggiungere ciò che desideri? Ad ogni desiderio corrisponde un prezzo e  un cambiamento inaspettato. Mastandrea impenetrabile più del solito. Dialoghi a volte un po' forzati, ma nel complesso interessanti.


50 Primavere  di Blandine Lenoir è un film sulle donne, scritto da una donna, che si interroga su cosa diventano le donne quando non hanno più le mestruazioni. Ad un certo punto alla televisione viene mostrata una stampa ottocentesca della scala delle età: mentre l'uomo a 50 anni è rappresentato solo e in atteggiamento soddisfatto, la donna invece è rappresentata  sempre insieme ad un uomo o ai figli e ai nipoti. Gli uomini definiscono il proprio destino, la donna si definisce in relazione. Davvero? Aurore sembra aver voglia di buttare tutto all'aria, figlie comprese, e per questo mi ha convinto.


Ho letto che nel 2017 i film italiani non hanno avuto un successo di pubblico. Mi chiedo però se non sia anche un problema di distribuzione. Dai siti di cinema che frequento vengo a conoscenza di film  proiettati solo in poche sale, di solito nelle grandi città, mentre qui a Grosseto due multisale proiettano contemporaneamente gli stessi film da botteghino.