domenica 29 gennaio 2017

Arrival, il tempo che ritorna.

Ho visto tanti bei film in questo mese, non mi capitava da tempo di iniziare un nuovo anno con tante scelte, e così interessanti. Ma ne parlerò un'altra volta.
Perché oggi ho visto Arrival, di Denis Villeneuve, e ne sono uscita toccata.
Il film racconta di un incontro tra alieni e terrestri, ma non si tratta di banale fantascienza, non ci sono battaglie, né armi laser, né tecnologie sconvolgenti.
Arrivano dei grandi gusci neri, si vedono dietro uno schermo dei tentacoli e poi si formano delle parole, o meglio delle frasi, circolari. Una linguista ed un fisico tentano di decifrarle, per cercare di capire come mai gli alieni sono arrivati e cosa vogliono.
Mentre tutti si aspettano di capire qualcosa di quello che sta succedendo, si dipana anche la storia della linguista, il suo privato dolore, le sue scelte.
Sono memorie? Sono anticipazioni?
La sceneggiatura mantiene la sincronicità tra i due livelli, mentre nel mondo le grandi nazioni si interrogano sulle stesse questioni, ma prendono posizioni diverse, che rischiamo di mettere a rischio la sopravvivenza di tutti.
I fraintendimenti sono possibili, la  capacità di capire  i messaggi è ostacolata  dall'ambiguità così alta. Non ci pensiamo spesso, ma uno dei presupposti della comprensione umana è quello di condividere lo stesso corpo, lo stesso ambiente. Mangiare è una delle parole più facile da mostrare e da poter comprendere, ma come si comunica con una specie che ha un corpo diverso dal nostro, con il quale probabilmente non condividiamo nessun tipo di esperienza sensoriale?
Eppure si parte dai sensi, quelli più primordiali: Louise mostra le sue mani.
Anche gli alieni mostrano le loro estremità in  un gesto simile: attraverso il vetro, ancora una volta, si ripete il gesto che unisce le mani di Adamo e  di Dio (citazione di Michelangelo o di E.T. di Spielberg?).
Capire una lingua è immergersi in un altro mondo.
Per una sorte di strana sincronia proprio stamani ascoltavo una puntata di "La lingua batte", su Radio Tre, che affrontava il tema della neurolinguistica. Nell'intervista a Andrea Moro si parlava del mistero delle lingue impossibili: se si insegna una lingua artificiale, con delle regole diverse da quelle già geneticamente inserite nel nostro cervello, le strutture cerebrali che si attivano non sono le stesse che usiamo quando parliamo la lingua madre.

Se si comprende una lingua parlata da una specie diversa si può anche entrare nella sua percezione del mondo? Louise comprendendo la lingua capisce ad un certo punto che la dimensione del tempo è diversa per gli alieni e che il vero scopo non è offendere, ma offrire una opportunità.
E se nel proprio tempo è accaduta una tragedia come cambia la percezione dell'evento, come si può immaginare di riviverlo o anche di modificarlo?
Louise si immerge nella nebbia aliena e cerca delle risposte, rivivendo o forse presagendo il suo destino. Ma mancano anche le parole, a noi che siamo abituati a percepire la linea del tempo, non sappiamo come descrivere la circolarità, il ritorno dello stesso. L'immagine che mi è venuta in mente è l'archetipo del serpente che si morde la coda, richiamata, non so quanto consapevolmente, dalla scrittura aliena.
Le immagini essenziali, quasi monocromatiche, del contatto con gli alieni, il montaggio del regista riescono forse solo in parte a rendere questo concetto, quindi nell'ultima parte del film  c'è una maggior ricorso ad una spiegazione esplicita, che fa perdere forse un po' di forza espressiva.
Però sono uscita con le lacrime agli occhi: in un mondo dove il tempo è circolare la morte può non esistere, si può anche accettare il proprio destino, e ripeterlo, e ripeterlo.

domenica 8 gennaio 2017

Classifica dei film del 2016, privata e opinabile, come al solito.



Nell'anno appena trascorso ho visto più film del solito, però meno nelle sale cinematografiche e più a casa, su Sky, Netflix, Google Play, e già questo dato potrebbe essere importante. Forse perché vivo in una città di provincia dove non c'è molta scelta (ma quando sono a Roma o Firenze ho l'impressione che anche l'offerta delle grandi città non sia così varia) trovo più conveniente scegliere i film dalle varie piattaforme online o dai canali in abbonamento. Mi rendo conto che tale preferenza determina un ulteriore caduta del pubblico delle sale, ma credo che sulla distribuzione dei film dovrebbe essere fatta una riflessione e una politica più ampia.

Ho avuto l'opportunità di vedere e apprezzare molti bei film grazie ai corsi di cinema organizzati da Fondazione Cultura Grosseto con Mario Sesti e Giovanni Bogani oppure per merito della partecipazione, come giurata e spettatrice, al Clorofilla Film Festival, grazie a Simonetta Grechi.

L'offerta che ho trovato nelle sale non è stata all'altezza dei film che ho scoperto grazie a queste iniziative, quindi il mio giudizio ne risentirà sicuramente.



1) A pari merito metto al primo posto La pazza gioia di Virzì e Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti, per la scelta di protagonisti fuori dagli schemi, che viaggiano tra il dramma e la comicità, cercando una soluzione all'esistenza cruda e piatta, con quel pizzico di fantasia e follia che fa desiderare di essere, una volta nella nostra vita, come loro.

2) Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese avrebbe potuto partecipare dello stesso giudizio se non fosse che il finale normalizza troppo l'intreccio, mentre la storia si poteva mantenere sulla rottura e lo svelamento delle normali ipocrisie dei nostri giorni.
3) Julieta di Almodovar pur avendomi in qualche modo deluso (le-donne-di-virzi-e-quelle-di-almodovar.html ) si piazza lo stesso al terzo posto, perché Pedro è sempre Pedro, anche quando sceglie di filmare un racconto che forse non appartiene del tutto alle sue corde. Il suo punto di vista sul rapporto madre figlia vale comunque la visione del film.
4) Non essere cattivo di Claudio Caligari è stata una sorpresa molto gradita, in particolare per l'ambientazione, la luce e gli scorci delle periferie disperate. La prova attoriale di Luca Marinelli è notevole.

5) Fai bei sogni di Marco Bellocchio: mi è piaciuta sia la storia di Gramellini che la prova di Mastrandrea, la regia non brilla.

6) Fuocoammare di Gianfranco Rosi, un bel docufilm, con una fotografia intensa.





7) The end of the tour di James Ponsold si merita il settimo posto perché è la storia di David Foster Wallace, un autore che amo moltissimo, anche se l'attore scelto per interpretarlo lo conoscevo per una serie Tv molto famosa, quindi ho avuto qualche difficoltà a dargli credibilità.

8) Suffragette di Sarah Gavron è interessante come ricostruzione delle lotte femministe, un film didattico, infatti ho portato con me mia figlia, ma non lo ha apprezzato.

9) Bella e perduta di Pietro Marcello è un film troppo "visionario" per i miei gusti, non è riuscito a coinvolgermi, pur apprezzando il tentativo di fare un film tra il documentario di denuncia e la ricostruzione di una atmosfera mitica.

10) Neruda di Pablo Larrain: avendo visto altri film di questo regista mi aspettavo un film diverso, invece questa storia mi è sembrata troppo didascalica. Un Neruda più politico che poeta.

11) La corrispondenza di Giuseppe Tornitore davvero un film inutile, incompleto, inconcludente, peccato, è uno dei miei registi preferiti.