martedì 19 novembre 2013

La comicità cattiva di Sole a catinelle.

Lo dico senza mezzi termini (e poi proverò ad argomentarlo): tra Sole a catinelle e L'ultima ruota del carro ho preferito il film di Nunziante. Checco Zalone è un carabettista ed il film è tagliato  sul suo talento, gli attori intorno a lui ne risentono un po'. Invece Elio Germano è un attore vero e bravissimo, che sa calarsi in personaggi diversi ogni volta e Veronesi è un regista che sa costruire storie coinvolgenti. Però il film di Zalone mi ha fatto ridere e pensare, invece quello di Germano mi ha fatto sorridere senza che niente mi colpisse davvero.
Alcune battute  di Sole a catinelle sembrano più superficiali di quello che non sono, così come la descrizione dello spirito dei nostri tempi attraverso le lenti deformate della satira appare più feroce di quella di Veronesi.
C'è una scena di L'ultima ruota del carro nella quale il protagonista guida il suo camion su una strada piena di cartelloni di un Berlusconi sorridente e piano piano anche Elio/Ernesto comincia a sorridere.
E' abbastanza efficace, ma non quanto l'ottimismo caricaturale di Checco Zalone che sostiene la sua teoria anti crisi economica con gli imprenditori  o che cerca di vendere gli aspirapolvere a tutti i suoi parenti. Checco sembra portare a galla l'italiano berlusconiano che alberga in ognuno, che in fondo sta simpatico proprio per il suo ottimismo irrealistico. Zalone e Nunziante non se la prendono con i politici, ma con la società che sta dietro un certo tipo politica, con i vari caratteri italiani, come  quando Checco cerca le magliette della marca Che Guevara.
Sono uscita dal film di Veronesi con una conciliante visione dell'Italia degli ultimi decenni, con una tristezza consolatoria. Il regista prova a mettere in scena un personaggio ingenuo, che sembra non comprendere la complessità delle vicende che scorrono accanto a lui, fa sorridere lo scollamento tra la sua poca furbizia e il cinismo degli amici più svelti. Ma l'Italia che emerge è comunque quella della frattura tra i buoni-ingenui e i furbi-cattivi.
Invece Sole a catinelle mi ha lasciato un'amarezza forte e profonda, nonostante le risate a volte facili. Mi sono chiesta cosa volesse davvero dire, se non c'erano dei significati che mi stavano sfuggendo, se non fosse solo un film qualunquista, ma  l'unica  commedia di costume possibile adesso. Il personaggio con cui ci si identifica è un furbo, ma anche un buono, un paraculo simpatico, che può cambiare idea secondo quanto gli conviene. I ricchi sono di sinistra come le operaie che stanno per perdere il lavoro. Gli imprenditori esportano i capitali, ma poi salvano l'azienda ed i posti di lavoro. Sembra quasi che in fondo siamo davvero destinati sempre ad essere democristiani.
 Il paragone con Sordi e con la sua irritante italianità è fin troppo facile, ma anche il disprezzo con cui una parte della critica accoglie il fenomeno Zalone è paragonabile alla sufficienza con la quale Sordi veniva giudicato.
Veronesi appare triste, ma scontato, banalmente sentimentale, soprattutto nel finale che non ti aspetti, ma che non esce dagli schemi della morale della onesta che basta a se stessa. Zalone e Nunziante sono scorretti, comici e popolari, ma profondamente cattivi. In fondo anche più disperati, come se dicessero che Checco è l'italiano che ci rappresenta davvero. Non so se questo stia anche alla base del successo di pubblico, se in fondo non è avvertibile una maggiore verità e complessità del film, non saprei dirlo. (Chissà se c'entra anche con la simpatia che suscita Renzi rispetto alla serietà o complessità che propone Civati.)

giovedì 24 ottobre 2013

Trova le differenze....o delle candidature a segretario del PD

Oggi avevo un po' di tempo e mi sono messa a sfogliare i documenti delle candidature a segretario del PD. http://www.partitodemocratico.it/doc/261595/le-proposte-a-confronto.htm
Molte cose le avevo già lette, visto che è da un po' che seguo la candidatura di Giuseppe Civati.
Ma una lettura in sequenza dei documenti fa nascere spontaneo il ricordo del gioco enigmistico "Trova le differenze": la prima che salta agli occhi è quella della lunghezza ed elaborazione del documento. Civati scrive 69 pagine, gli altri si attestano su una ventina di fogli. Ora questo può essere sia uno svantaggio che un vantaggio, secondo la platea alla quale ci si rivolge. Ci sono molte persone che ormai non leggono niente di più lungo di uno stato di Facebook o di Twitter, per cui superare i 140 caratteri è uno svantaggio in sè. Però  anche queste persone vanno convinte e coinvolte, anche chi non vuole immergersi in un lungo documento deve avere la possibilità di capire quali sono i punti essenziali di una candidatura. Renzi viene spesso preso in giro ( ad esempio la caricatura di Crozza "Renzi the mentalist" è fantastica) perchè comunica per slogan, però, lui lo scrive anche nel suo documento, la comunicazione è importante. Viviamo in un contesto nel quale la politica non è più una questione di tradizione di famiglia, di appartenenza ad uno stato sociale, di proselitismo, la politica è essenzialmente comunicazione. Per questo la differenza potrebbe andare a favore di Renzi, le sue venti pagine sono brevi e ben scandite, è facile leggerle e le proposte per il paese ed il PD sono chiare e semplici. I gruppi che sostengono Civati hanno dovuto fare una specie di sintesi del documento (cosa che approvo perchè vuol dire che si sono posti il problema) però l'articolazione degli argomenti civatiani è sicuramente più complessa e approfondisce vari temi, con proposte concrete, che gli altri candidati neanche accennano. Il documento di Cuperlo è ben articolato, ma a volte un po' vago su alcuni punti. Quello di Pittela risulta, a mio giudizio, il più astratto.
Per affrontare la complessità voglio provare a fare uno schema ( io adoro gli schemi per capire gli argomenti difficili).
Ho trovato utile concentrarmi sui temi sui quali ci sono davvero delle differenze, questi secondo me sono:
  • la forma partito: finanziamento, iscritti o partecipanti, segretario o premier.
  • le alleanze elettorali (quindi la legge)
  • le classi sociali di riferimento
  • i diritti civili: immigrazione, coppie omosessuali.


Civati Cuperlo Pittella Renzi
Forma partito











Finanziamento
Un partito aperto alla partecipazione dei militanti, con frequenti consultazioni anche telematiche.
Aprire ai circoli, anche online. Disrinzione tra incarichi di partito e di governo.
Contributo dell'1 per 1000, rimborsi parziali delle spese,credito d'imposta per donazioni private
Aperto, ma con una predominanza degli iscritti sul popolo delle primarie.
Distinzione tra segretario e premier.
Ridare valore alla tessera ed ai circoli come rete di contatti.
(internet si, ma con cautela).
Finanziamento?
Partito degli amministratori e del territorio.
Riappropriarsi della parola Libertà




Non se ne parla esplicitamente
Partito liquido, in movimento, con una base che può variare. Importanza della comunicazione e della trasparenza. Ma l'obbiettivo non è il PD.
Abolizione del finanziamento pubblico.
Alleanze




Riforma elettorale
Con SEL, per allargare la base a sinistra.
Adesione al P. Socialista Europeo

Legge Mattarella subito
Maggioritario con doppio turno
Né larghe intese, né neocentrismo.


Maggioritario con doppio turno
Adesione al Partito Socialista Europeo I delusi del centrodestra e del M5S.

Ritorno a legge Mattarella
Sistema maggioritario
Classi sociale di riferimento Area dei movimenti, degli studenti, degli insegnanti e professori attivi politicamente, degli amministratori locali. Professionisti della green economy e nuove tecnologie informatiche. Pubblico impiego, pensionati, giovani e donne.
Spesa pubblica riqualificata e non ridotta.
Pubblica amministrazione, insegnanti,
piccola imprenditoria
Si rivolge ai piccoli imprenditori, agli artigiani, esplicita che non si investiranno le risorse economiche risparmiate ancora sul pubblico impiego, ma sulla diminuizione delle tasse.
Diritti civili Riconoscimento matrimonio e adozione per coppie gay.


Abolizione Bossi Fini.
Riconoscimento ius soli.
Testamento biologico
Autodeterminazione.
Riconoscimento coppie di fatto.


Abolizione Bossi-Fini
Fini-Giovanardi
Non appoggia esplicitamente alcun tema sensibile, pur auspicando una discussione interna. Riconoscimento coppie di fatto.


Abolizione Bossi Fini.

Ultima nota a margine: ieri sera si è svolto il congresso del mio circolo. C'era molta gente, nonostante il circolo sia spesso chiuso e le poche riunioni che vi si fanno sono poco pubblicizzate.
Vorrei tanto sapere quante di quelle persone si sono lette i documenti presentati per l'elezione del loro segretario. Purtroppo la maggioranza non ha neanche ascoltato quanto veniva detto dai candidati locali.
Forse, prima di votare, ma non ieri, parlo di molto prima, ci sarebbe stato bisogno di una discussione maggiore intorno a questi punti, perchè spiegandole, le cose, si capiscono meglio.

lunedì 23 settembre 2013

Meditazione mindfulness IV

In questo ultimo anno ho provato a meditare una volta sola, a dicembre del 2012, nel gruppo con alcune care colleghe. Ho pianto durante tutta la meditazione, il mio dolore traboccava, mi trascinava. La consapevolezza piena del momento presente non è facile da tollerare quando ogni momento è pieno di angoscia ed a volte l'unico modo di sopravvivere è quello di occupare la mente con distrazioni inutili.
Da qualche giorno invece ho ripreso a meditare ogni mattina, per 15 minuti.
E' un momento che mi prendo per cercare di stare ad osservare i miei pensieri senza farmene travolgere.
Una delle metafore più belle della meditazione è  quella del cielo attraversato da nubi. Mi immagino la distesa azzurra di un cielo limpido e alcune nuvole bianche che la attraversano, cambiando forme e colore, fino a che il cielo torna sgombro. A volte ci sono giorni nei quali le nuvole sono nere e gonfie di pioggia, ma anche in quel caso, dopo un po', il cielo torna limpido. I pensieri sono come le nuvole, che attraversano la mia mente,  posso riuscire a lasciarli andare, a non attaccarmi a loro, i pensieri vengono e vanno via.
Alla fine della meditazione non sempre mi sento più calma, anzi a volte mi rendo conto che attraverso l'osservazione dei miei pensieri ho portato a galla di nuovo le angosce che cerco di tenere lontano dalla mia consapevolezza.
Ma il punto è che continuare semplicemente a distrarmi da loro non è più funzionale. Ho passato un anno cercando di tenere il dolore sotto controllo, ora non solo lo avverto ancora, ma in certi momenti è come se al dolore si aggiungesse la stanchezza di gestirlo.
Soffro di non tollerare la sofferenza.
Allora la meditazione, forse, può aiutarmi ad accettare il dolore così come è, senza aggiungere i rimproveri e la stanchezza del fingersi a posto, quando non lo si è.
Può distinguere e aumentare la  coscienza della diversità tra alcuni tipi di sofferenza.
La meditazione della montagna è un altro tipo di "consapevolezza piena" che mi piace e mi aiuta. Sentirsi una montagna, immobile, inattaccabile, profondamente radicata ed insieme svettante. Una montagna che rimane attraverso le stagioni, che vive tutti i cambiamenti sulle sue pendici, rimanendo profondamente la stessa, ecco, quando mi vivo così, l'angoscia sembra più sopportabile.
Immagino la montagna che conosco meglio, la montagna Santa Croce, vicina al mio paese lucano, San Fele. Sono la montagna Santa Croce.

giovedì 5 settembre 2013

La vita è un caos di dolore insensato, o dello scherzo senza fine (Infinite jest).

La lettura del lunghissimo romanzo di David Foster Wallace, Infinite Jest, è stata essa stessa una storia. Ho iniziato a leggerlo nel 2010, quando ero in una fase particolare della mia vita, dopo la rottura di una relazione importante ed all'inizio di una nuova relazione d'amore. La complessità della scrittura di Wallace mi aveva intrigato, ma anche affaticato. Il libro non ha una struttura cronologica semplice, non solo perchè gli Anni Sponsorizzati non sono subito individuabili, ma anche perchè lo sviluppo delle scene non segue un ordine, neanche a volerlo immaginare come dei flash back. Il tempo di Infinite jest è ricorsivo, circolare, si annoda su se stesso. Una stessa giornata ritorna più volte, in momenti diversi, con protagonisti diversi  e nonostante gli sforzi per tenerne nota, alla fine si comprende che non c'è un ordine, ma solo una apparente sinconicità. Anche il legame tra i personaggi, tanti e diversi, e tra gli ambienti non è evidente nei primi capitoli, subito si avverte la necessità di avere una guida al romanzo, che sia da parte di qualcuno che l'ha già letto.
Infine il tipo di scrittura varia molto da scena a scena: ci sono dialoghi, elenchi, a volte essenziali, a volte lunghissimi. Ci sono abbreviazioni e iniziali che disorientano, termini colloquiali o troppo tecnici. Ci sono note che invece che agevolare la lettura la rendono ancora più articolata e complessa (ed ho spesso deciso di saltarle). Ci sono descrizioni che entrano nei dettagli di oggetti e di ambienti che si fatica a trovare significativi ed a volte diventano solo rumore di fondo. Mi sono trovata a leggere quasi come se navigassi in un mare di dettagli nei quali cercavo un orientamento, come se dovesse prima o poi arrivare un segnale che desse un ordine, ma senza riuscire ad approdare davvero da qualche parte. Poi all'improvviso dopo pagine di navigazione di lettura ecco una perla, una pagina entusiasmante, che illumina il percorso, ma senza davvero connetterlo in un unico senso.

Ho quindi deciso di lasciarlo, di sospenderlo, mi sono detta, per un po', come avevo sospeso la lettura di Proust, nell'attesa di trovare un momento giusto per riprenderlo. Poi, in un momento di nuovo molto particolare della mia vita, dopo la perdita atroce di mia figlia,  ho trovato la biografia di D.T.Max, che ha fatto rinascere una curiosità verso IJ.
Per riannodare i fili mi sono trovata a cercare in rete una sorta di bignami del romanzo ed ho trovato  sul sito Scarabooks una utilissima guida che ho utilizzato per non riprendere l'orientamento.
Poi piano piano non ne ho avuto bisogno e la mia lettura è stata sempre più facile. Le storie nella seconda parte del libro si intrecciano maggiormente, i personaggi principali sono più individuabili. Gli ambienti diventano familiari. Ho continuato a pensare che se Wallace avesse sacrificato una parte delle pagine che ha scritto il risultato sarebbe stato più unitario, ma poi, alla fine, mi è sembrato anche di percepire perchè potrebbe non averlo fatto.
Pur nella critica del realismo, pur situandosi quindi nella corrente postmoderna, Wallace sembra in realtà voler riprodurre con la iperrealtà della sua letteratura la complessità e caoticità della vita. La impossibilità di dare ordine, coerenza ai vari dettagli, di decidere cosa sia essenziale e cosa no, non fa parte in fondo delle nostre stesse esperienze? Cerchiamo inesorabilmente un ordine che siamo destinati a non trovare. Alla fine mi è sembrato di vedere questo nella sua sovrabbondanza di scrittura. Così come cerchiamo un piacere che non si riesce a trovare, la cassetta di Infinite Jest,  e che può solo portare ad una forma diversa di morte. Così come cerchiamo di combattere il dolore, ma rimaniamo impigliati nelle dipendenze da sostanze. Non c'è nulla in questo romanzo che salva, non c'è neanche l'amore, perchè anche l'Amore è una dipendenza.
"Iniziano la cosa con i bottoni uno dell'altro. Non c'entra la conquista o la cattura forzata. Non c'entrano le ghiandole o gli istinti o il brivido che spacca il secondo o il chiodo fisso di doverti lasciare andare; non c'entra neanche l'amore né l'amore per qualcuno che desideri dentro di te, dal quale ti senti tradito. Non c'entra l'amore e non è mai l'amore, che uccide chi ne ha bisogno." (pag.678 ed. Einaudi).
C'entra molto il dolore della Cosa: " La Cosa è un senso di male radicale e completo, e non è una caratteristica, ma piuttosto l'essenza dell'esistenza cosciente. la Cosa è un senso di avvelenamento che pervade l'io ai livelli più elementari. La cosa è una nausea delle cellule e dell'anima. E' l'intuire che il mondo è molto ricco e animato, ma anche completamente doloroso e maligno e antagonistico nei confronti dell'io" ( pag.834).
Alla fine del romanzo la cartuccia master del film che produce il piacere più assoluto, il piacere  che porta alla morte, non si trova; alla fine del romanzo, senza voler svelare troppo della vicenda, ci sono solo due dei protagonisti principali (Hal Incandenza e Don Gately) stesi e immobili a confrontarsi con il dolore della astinenza ed il dolore fisico di un trauma, attraverso i ricordi di altri traumi e di altri dolori.
In questo romanzo non  c'è catarsi, non c'è un vero sviluppo, la prima scena è quella che potrebbe essere cronologicamente l'ultima della storia, ma anche solo una invenzione. I personaggi rimangono nonostante tutto uguali a se stessi e imprigionati nei loro ruoli.
E la vita è solo un caos di dolore insensato, uno scherzo senza fine ( e forse ora, nel particolare mio momento di vita, sento una incredibile sintonia con IJ).

DFW, una biografia.

A volte succede che un autore sia amato più per il personaggio che  diventa che per quello che ha scritto. Con questo non intendo sostenere che non siano importanti le opere, ma che ad un certo punto, per qualche autore, la sua vita (o la sua morte) diventi più importante delle sue opere.
Ho amato moltissimo i Diari di Virginia Woolf, i suoi saggi di critica e di militanza per i diritti delle donne, ho divorato le sue biografie e ogni traccia di lei, i film che sono ispirati al suo personaggio o tratti dai suoi personaggi, ma non ho amato allo stesso modo le sue opere narrative, tranne forse per La signora Dalloway.

Quando  ho iniziato a leggere Infinite Jest, sono arrivata quasi a metà del libro e poi l'ho lasciato un po' esaurita, ma con l'idea di ritornarvi. Ho letto i racconti di La ragazza dai capelli strani e li ho trovati molto belli e più piacevoli dell'infinito romanzo. Poi ho visto una sua biografia, di D.T. Max, e mi ha incantato il titolo Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi.
Ho cominciato a leggerla e l'ho finita in pochi giorni: è una storia struggente, che parla di David Foster Wallace e dei suoi libri. Racconta la sua depressione ricorrente, ma anche le sue  teorie intorno alla scrittura, la filosofia dei suoi romanzi e le vicende che hanno ispirato le sue storie.
Rende reali il grande dolore ed il grande talento di Wallace. Mi ha fatto tornare il desiderio di leggere Infinite Jest e di completarlo con una consapevolezza diversa.
Penso che ora che ho più chiaro il disegno e la personalità di chi ha scritto questa opera mi riuscirà anche meglio portarne a termine la lettura. Sono consapevole che una parte di questa fascinazione è anche legata  al gesto del suicidio di David.
D.T.Max non avanza spiegazioni o ipotesi, racconta che DFW ha tentato varie volte di togliersi la vita e che in fondo ha sempre alternato momenti nei quali la scrittura sembrava un modo per non farsi risucchiare dal dolore, ad altri nei quali ha avuto bisogno di anestetizzarsi dal dolore con le droghe e l'alcool. Anche se aveva trovato attraverso gli AA ( ed uno psicofarmaco) un modo di gestire il dolore interno, intenso, l'inquietudine che non lo ha mai abbandonato, ed alla fine è stato più forte il pensiero di mettere un termine definitivo alla sua sofferenza, come Virginia Woolf.
Ma non è soltanto questo il fascino che ha suscitato in me la lettura della biografia, il tema convincente, direi motivante a riprendere i suoi romanzi, è stato quello della complessità della sua scrittura tra realtà e finzione, tra ultrarealtà e ironia. Il modo nel quale Wallace ha cercato di trovare uno stile che rendesse l'incredibile "troppità" della vita. Il biografo cita una sua lettera ad un amico nella quale Wallace racconta delle sue difficoltà: scrivere roba sulla vita vera è quasi impossibile, semplicemente perché è troppa!
Il sovraccarico di informazioni, di percezioni, di opinioni, di teorie e mezzi di comunicazione dell'età moderna produce spesso solo rumore nel quale è difficile estrarre i segnali. A volte leggendo Wallace si ha l'impressione che i suoi periodi lunghissimi siano in effetti solo questo rumore, dal quale ogni tanto si staglia una frase, un pensiero che risuona invece in modo diverso.

sabato 27 luglio 2013

I momenti che non vivrai

Non vivrai il vento nei vestiti, mentre corri sulla moto del tuo ragazzo, aggrappata a lui.
Non vivrai un concerto di bossanova, in una calda notte d'estate, con un bellissimo contrabbasso.
Non vivrai il mare limpido di Alberese, che ti piaceva tanto, e l'ombra fresca dei pini.
Non vedrai il sole alle spalle dei girasoli, al tramonto, non ascolterai le mie discussioni con Giuseppe sulla rotazione eliotropica.
Non sentirai la risata argentina di tua sorella, le sue domande curiose, non ti confiderà i suoi primi amori.
Non vivrai la mia vecchiaia e quella di tuo padre.
Non vivrai la morte dei tuoi nonni, che avrebbero preferito morire, piuttosto che piangerti.
Non vivrai  all'estero, come dicevi che avresti  fatto se Berlusconi avesse ancora vinto.
Non vivrai i giorni dello studio e le ansie e le speranze del diploma.
Non vivrai più nessun'altra delusione d'amore.
Non  voterai mai, non saprò chi avresti scelto, non discuterò con te di politica..
Non visiterai l'Egitto, le piramidi, il Nilo, come mi avevi fatto promettere.
Non torneremo in Grecia, nelle isole, ancora al mare, il tuo mare.
Non farai più fotografie, uscendo con la macchina al collo, pronta a cogliere ogni attimo.
Non vivrai le lezioni all'Università, se mai avessi deciso di andarvi.
Non vivrai la soddisfazione del primo stipendio, l'emozione di spendere soldi tuoi.
Non vivrai la delusione per un progetto fallito, per un sogno che svanisce.
Non vedrai i sorrisi di Luna e le sperimentazioni di Fabrizio, che guarda incantato la sabbia che scorre.
Non vivrai la gioia di un figlio tuo.
Non vivrai l'amore, non vivrai l'amore, non amerai mai più.

martedì 9 luglio 2013

Che ci facciamo noi nel PD?

A me del Politicamp è rimasta in testa una domanda, quella che ci ha fatto Paolo Nori, nella sua bellissima lettura dedicata ai morti di Reggio Emilia, perchè scioperavano, negli anni 60. Nori ha ricordato a tutti noi che il PD ha avuto una responsabilità nella istituzione dei CIE ed in alcune riforme del lavoro e poi ci ha chiesto:che ci fate voi nel PD?
W la LibertàE' una domanda che spesso viene rivolta a chi sostiene la candidatura di Giuseppe Civati, ma è anche una domanda che penso si facciano anche alcuni dirigenti dell'”apparato”.
E' una domanda importante, perchè è sul senso del cambiamento che Civati, ma soprattutto tutti i Nico Giberti che sono suoi sostenitori, vogliono proporre al PD e a tutti i reali e potenziali elettori del partito.
Che ci facciamo noi nel PD?
Mentre pensavo ad una risposta da dare a questo quesito, una formula, una frase che potesse condensare il mio, il nostro sentimento di appartenenza al PD ho abbassato lo sguardo sul mio quaderno, quello sul quale ho preso degli appunti durante i Wdays. Ad un certo punto dei lavori infatti le informazioni che venivano date, le proposte di legge che venivano presentate e discusse, mi sono sembrate così tante e così precise che non poteva bastare la mia memoria a tenerle a mente ed allora sono ricorsa al mio quaderno degli appunti.
Ho cominciato a riguardare le pagine che avevo scritto.
Noi stiamo nel Pd perchè ci sono amministratori comunali come Luca Pastorino e Lucrezia Ricchiuti che combattono quotidianamente contro le intimidazioni, non solo della mafia che tutti conosciamo, ma anche di quella degli interessi economici. Ci sono ricercatori come Salvatore Tesoriero che studiano una proposta di legge che cambi i termini di prescrizione per i reati di corruzione ed una che introduca l'obbligo di restituzione della tangente una volta accertato il reato, mentre attualmente l'87% delle condanne per corruzione è sotto i due anni di pena e quindi di fatto rimane impunita.
Noi stiamo nel Pd perchè vogliamo, insieme ad associazioni come Libera, che venga introdotto il reato di voto di scambio ed una Anagrafe pubblica e trasparente dei politici e degli amministratori di nomina politica.
Noi stiamo nel PD perchè ci sono giovani studiosi impegnati a spiegare e a formulare progetti per prevenire il consumo del suolo come Mirko Tutino. Ci ha presentato un disegno di legge che propone una definizione univoca del fenomeno, per poi permetterne il censimento, definire il diritto di edificabilità e dare dei termini temporali a questo diritto. Gianluca Ruggieri ci ha invece parlato della riqualificazione energetica dell'edilizia pubblica: con un investimento di un euro in progetti di ristrutturazione degli edifici avremmo risultati esponenziali in termini di risparmio energetico e creazione di lavoro.
Noi stiamo nel PD perchè il tema della rimozione degli ostacoli alla partecipazione democratica alla vita dei partiti, di tutti i partiti (anche di quelli dove si dice che uno conta uno ed invece c'è solo uno che conta), è un tema centrale della nostra democrazia. Ne hanno parlato in modo diverso in molti contesti gli invitati più o meno noti del Politcamp: ne hanno parlato Walter Tocci, Andrea Ranieri, Fabrizio Barca e Sandra Zampa durante la prima serata.
Ci sono idee diverse di partecipazione, quella degli iscritti partecipanti e quella dei partecipanti non iscritti, idee diverse di organizzazione, più strutturata o più associazionistica, ma mi è sembrato che l'esempio da imitare arrivasse da un Circolo già attivo del PD, il Circolo Copernico di Cagliari.
Renato Soru, Vincenzo Vita e Raffaele Calabretta hanno discusso di piattaforme digitali, di uscire da FB e progettare un luogo social dove discutere e decidere coinvolgendo gli iscritti e gli elettori del PD. Ma quando ha parlato, emozionatissimo, Matteo Lecis Cocco-Ortu della esperienza di Cagliari, cioè di un circolo dove si può essere simpatizzanti, sostenitori ed iscritti e convivere e creare eventi e partecipazione politica, mi sono detta che stiamo nel PD per vedere diffuse queste esperienze su tutto il territorio nazionale.
Il PD in cui stiamo è questo, è quello che già c'è in tante realtà territoriali e nei gruppi dei militanti..
Il problema è che spesso questo PD non si sente rappresentato dalla attuale dirigenza.
Civati con la sua candidatura può far emergere questo PD, perchè intorno a lui si è costruita una squadra, un insieme di persone motivate, impegnate, competenti. Se Civati andrà alla segreteria potrà proporre le competenze di persone come Rita Castellani e Filippo Taddei, economisti che in modo molto chiaro hanno presentato alcuni dati significativi sul nostro mondo del lavoro e sulla necessità di detassare il lavoro dipendente.. L'ingresso nel mondo del lavoro ed i percorsi formativi collegati devono essere modificati con una riforma degli Ordini professionali, una uniformità dei contratti di accesso, una estensione delle tutele per chi ha difficoltà nell'ingresso.
Perchè come ci ha ricordato con passione Maria Pia Pizzolante i giovani, ma soprattutto le donne, che non lavorano rimangono nel ricatto familiare, non riescono ad emanciparsi se non c'è un Welfare alternativo alla famiglia. Quindi dovremmo anche noi chiedere come un ritornello, non l'IMU, ma il reddito minimo garantito.
Ecco, noi stamo in questo PD perchè c'è la passione di queste persone, le idee di questi studiosi, l'incontro tra generazioni diverse e vogliamo che la candidatura di Giuseppe Civati porti a galla, faccia emergere e valorizzi tutto questo mondo.

lunedì 1 luglio 2013

Il dolore degli altri

Proprio in questi giorni particolari per me, mentre me ne stavo sotto l'ombrellone, ho captato una conversazione che mi ha colpito. Due signore stavano commentando una cena con alcuni amici, alla quale aveva partecipato anche una conoscente con un figlio con handicap: non ho capito quale fosse la disabilità, ma sembrava una situazione grave. Mentre si dicevano quanto sia difficile la vita di questa conoscente, ad un certo punto una delle due ha usato l'espressione "mi ha rovinato la cena". E' possibile che in effetti fosse solo un modo per dire che era stata molto colpita, forse potrebbe essere interpretato anche come un segno di empatia, ma io  l'ho trovato estremamente sgradevole.
La signora che ha avuto la cena rovinata  ha la possibilità di scordarsi del problema  e di tornare alla sua vita senza dolori, la mamma del ragazzo con handicap, come me, non può scordare il suo.

Alcune persone però preferiscono avere solo serate senza pensieri; allora incontrare il dolore degli altri diventa un problema. Almeno fino a quando non capita anche a loro qualcosa che li costringe a riflettere e a cambiare.

giovedì 27 giugno 2013

Per ricordare Matilde


Oggi è un anno da quando Matilde ci ha lasciato.


Siamo qui per ricordarla e per condividere ancora una volta tutto il dolore che abbiamo provato e la nostalgia che continuiamo a provare per lei.


Vorrei cercare di non piangere, ma mi scuserete se qualche lacrima comunque scorrerà. Ho scoperto in questo anno che abbiamo una riserva enorme di lacrime.


Invece vorrei ricordarla sorridendo.



Tutti quelli che la conoscevano ricordano i suoi sorrisi.


Matilde aveva un sorriso splendido. Era una ragazza splendente, anche quando camminava a testa bassa, anche se non si metteva in mostra e non era certo la più popolare della sua scuola.


Però se era fuori con le sue amiche e mi vedeva insieme a sua sorella e Giuseppe veniva subito a salutarmi. La ricordo sorridente e contenta che mi viene incontro, con la felpa verde e i pantaloni gialli e le scarpe con le stringhe di colore diverso una dall'altra, la mano tra i capelli neri, a tirarsi indietro la frangia che le cadeva davanti agli occhi.


Era una ragazza generosa e disponibile, pronta a farsi in quattro per le persone che amava. Se la sera riceveva una telefonata di un'amica in crisi ed aveva bisogno di parlare, mi chiedeva di scendere sotto casa per incontrarla, anche se sapeva che non mi piaceva che uscisse col buio, mi assicurava che sarebbe stata poco, che era importante. Se doveva prestare i suoi compiti o dare un aiuto per studiare lo faceva volentieri, si preoccupava se una sua amica aveva delle insufficienze, mentre si curava meno delle sue. Una volta siete andate a Marina e le avevo chiesto di guardare bene gli orari dell'autobus, ma nonostante la sua assicurazione, nel tardo pomeriggio mi chiama per dirmi che avevate perso l'autobus previsto. Non mi restava che venirvi a prendere. Mi ricordo la sua faccia alla fermata mentre si avvicina allo sportello, il suo sguardo che mi chiedeva di non rimproverarla, anche se sapeva che ero arrabbiata, mentre salivate in macchina.


Venivate a casa e a volte dormivate qui tutte insieme. I vostri pigiama party creavano confusione e notti in bianco anche per noi. Passavate il tempo a raccontarvi episodi paurosi, prendevate i film dell'orrore e poi non riuscivate a dormire. Ma ero contenta di vederla allegra, aperta, come a volte non era insieme a noi.


Matilde era curiosa e piena di interessi, amava scrivere, fotografare, amava la musica e la danza. Leggeva molto, le era sempre piaciuto ed avevamo l'abitudine di andare insieme in libreria, io andavo a vedere i libri per me e lei sceglieva le cose che le piacevano, la rivedo piccola, con i capelli corti e lisci, i blue jeans e una maglietta azzurra, tra gli scaffali dedicati ai libri per l'infanzia a sfogliare i suoi preferiti, aveva una passione per Geronimo Stilton. Ora invece mi chiedeva consiglio su cosa leggere, proprio qualche giorno prima di quel mercoledì le avevo dato diversi libri che pensavo le sarebbero piaciuti, per le sue letture estive, li aveva messi nella sua libreria.


La musica era una passione che condivideva con noi, ascoltava e sceglieva i suoi preferiti, amava i Pink Floyd, i Led Zeppelin, i Coldplay, i Green Day gli Avenged Sevenfold, i Negramaro. La ricordo che provava a suonare alla chitarra Wish you were here, a volte da sola, a volte con Martina. Mi prendeva in giro quando io ascoltavo i Marta sui tubi, lei e Valeria facevano il verso alle mie canzoni preferite e ridevamo insieme.


La sua risata, come mi manca la sua risata.


Quando ballavamo in sala sulle musiche che ci piacevano e poi mi dicevano che ero una pazza. Quando cantava concentrata, ma mai ad alta voce, quasi lo facesse solo per sè...e a me diceva che ero stonata. Quando ballava sul palco del Moderno insieme al suo gruppo di danza e sembrava così sicura, così spavalda, con la parrucca verde e le calze a righe.


Era intelligente e profonda. Tutte le sue insegnanti apprezzavano la sua intuizione, la sua logica, ma poi dicevano anche che era incostante, che poteva fare di più. Ma avevamo capito che lei era così, aveva bisogno di seguire i suoi ritmi, studiava le cose che le riuscivano meglio, con il resto provava a cavarsela con poco. Però le piaceva scrivere, aveva una sua pagina su FB, Pensiero stupendo, e nelle sue cartelle sul computer c'erano ancora altre pagine, alcune ve le leggeremo oggi, perché sono belle.


Non so se lei si rendesse conto di quanto valeva, mi rimane il dubbio che non lo sapesse. In una delle sue pagine si descrive sottolineando tutti i suoi “difetti”, quelli che la rendevano vera: chiusa, permalosa, pigra, con la testa tra le nuvole.


Mi piaceva quando stava sul divano con il computer sulle gambe e scriveva sulle chat, ma intanto ascoltava anche quello che dicevamo ed a volte interveniva con qualche battuta.


Era appassionata di fotografia, come il padre. Le avevamo regalato la macchina fotografica Canon per l'esame della terza media. La foto che abbiamo scelto per la locandina del concorso fotografico che le abbiamo intitolato la rappresenta bene, la rivedo in quella posizione, con la macchina a coprirle il viso, in tante situazioni, durante i viaggi, ma anche a casa, mentre fotografava Valeria. La sua Canon se la portava fuori quando usciva con voi, fotografava tutto, con un suo sguardo particolare. Mi mancano moltissimo le sue foto. Abbiamo fatto un viaggio e spesso ho pensato a come sarebbero state le sue foto, a cosa avrebbe visto Matilde.


Mi piaceva molto parlare con lei, discutere, si appassionava, anche se non sempre sceglieva di andare fino in fondo alla discussione, ed allora si chiudeva.


Metteva spesso degli schermi, la macchina fotografica, la scrittura erano dei modi per svelarsi con la mediazione di uno schermo. Non era diretta, ci pensava prima di esprimere una sua opinione. Mi piaceva quando mi raccontava del suo mondo, delle sue amiche, delle relazioni a scuola con i professori, delle cose che le piacevano e di quelle che detestava. Camminavamo insieme nel corso Carducci e Matilde era accanto a me, già più alta di me, e pensavo che stava crescendo, che era così matura per la sua età.


Aveva una particolare sensibilità nelle relazioni umane, una tendenza a scegliersi sempre delle amicizie complicate, non banali, un po' pazze. A volte mi preoccupavo, però ero anche orgogliosa di questo suo lato.


La sua prima amica della scuola materna si chiamava Martina, era una piccola bulla, nel modo in cui può esserlo una bimba delle materne, era una dura, che si faceva rispettare e che aveva preso sotto la sua protezione Matilde.


Alle elementari oltre alle sue amiche del cuore, aveva un particolare affetto per una bimba che difendeva sempre se capitava che si mettesse nei guai con le maestre. Alle medie aveva fatto gruppo con le FUGS, Filippa, Uga, Giuseppa, Saveria, e con altre ragazze, che sono qui oggi, e che sono state le persone con le quali Matilde è maturata e cresciuta, anche nelle liti, anche nelle difficoltà, soprattutto per quelle. Quante volte mi ha parlato di voi, quante volte abbiamo discusso delle vicende che vi succedevano.


Anche a danza, al liceo linguistico aveva subito scelto delle amiche speciali, era inizialmente riservata, ma poi riusciva ad entrare nel cuore. Diceva di se stessa: “mi affeziono lentamente alle persone”.


E poi c'è stato il suo amore, quello che l'ha messa in crisi, una crisi che non ce l'ha fatta a superare, ed in un momento di panico, un tragico imprevedibile momento di paura, l'ha spinta a fare un gesto assurdo per tutti noi.


Ho riletto le pagine che Matilde scriveva al suo amore e sul suo amore, mi sono anche chiesta se io ho davvero mai amato così, in quel modo pazzo e assoluto che forse solo un'adolescente può sentire. Matilde si sentiva completamente in balia di quello che provava, lo scriveva, ce lo diceva.


So che non tutti comprenderanno o condivideranno quello che sto dicendo, forse neanche le persone che sono più vicine, ma mi sono convinta che il gesto di Matilde è stato un gesto di amore. Ha sacrificato se stessa per non trovarsi in una situazione nella quale avrebbe messo troppe persone ed in particolare quelle che amava di più ad affrontare un problema che le è sembrato irrisolvibile.


Noi sappiamo che non lo era, che avremmo insieme, tutti, trovato una soluzione, ma a lei in quel momento tragico è sembrato così. E' stato solo un momento. Sono anche convinta che se potessimo, solo per un istante, vederci e parlarci, lei ci chiederebbe scusa ed anche noi le chiederemmo scusa di non aver capito la sua paura.


Ma il suo gesto è irreversibile.


Ora lascio lo spazio alle parole di qualcuno che vorrà ricordarla, noi siamo qui per ascoltarle.


Poi vorremmo condividere con voi le sue foto e le sue parole, che una nostra amica ha cercato di mettere in ordine in un libro in formato digitale, http://www.shorted.eu/2013/06/26/a-volte-il-cuore-2/#.UcyUMUFH5LN, Nerina ha trovato il modo di collegare lo sguardo e il cuore di Matilde, con una intensità che rende pienamente il suo mondo.



martedì 7 maggio 2013

Dolce come il Miele

Chissà perchè la protagonista del film diretto dalla Golino ha scelto proprio Miele come nome di servizio?
E'  un personaggio duro, spigoloso, che si tiene necessariamente distante dalle emozioni, anche dalla pietà. Quando comincia a provare compassione e pena, si vede quasi piangere durante uno dei suoi ultimi lavori, smette il suo servizio.
Miele fa morire i malati terminali.
In Italia non è possibile l'eutanasia attiva, cioè la forma di una buona morte, laddove non c'è più speranza di vita, attraverso dei farmaci. Miele fa parte di una rete di medici e volontari che si procurano i barbiturici proibiti, selezionano le richieste da parte delle persone malate o dei loro familiari e provocano una buona morte.
Miele segue delle regole nel suo lavoro. Le regole sono importanti per tenersi a distanza dalla pietà, dal coinvolgimento, dalla colpa.
Quando si trova di fronte ad un suicidio assistito, non ad una eutanasia attiva, cioè di fronte ad una persona che vuole solo morire, senza avere un motivo di salute per farlo, entra in crisi.
Ma questa persona, Carlo, le chiede perchè i suoi motivi non sono  accettabili. Chi stabilisce quali sono i motivi giusti per una buona morte? Quale confine si può mettere tra il diritto di giudicare la propria vita non più degna di essere vissuta e la depressione?
Il film prova a raccontare i livelli di sofferenza e di accettabilità della stessa. In fondo anche Miele non è felice. La vediamo correre, andare  a nuotare, sempre da sola. Fa sesso con un uomo sposato, senza coinvolgimento affettivo, senza pensare ad un legame. Anche nel suo lavoro è sola.
L'unica relazione che sembra coinvolgerla è proprio quella con Carlo, anche lui solo e infelice. Ma Carlo non vuole vivere. Neanche per Miele.
E' un film duro, senza speranze e senza redenzioni. Non vuole dare risposte e non cerca morali facili. Non ho letto il romanzo che fa da trama, ma Covacich è un autore che spesso ha affrontato temi difficili, in parte il film dovrà  anche a lui la sua spigolosità.
No, sicuramente non è un film dolce.

giovedì 18 aprile 2013

Che tristezza questo paese......

Avevo in mente di scrivere su due film che ho visto ultimamente, diversi per stile e profondità, ma ugualmente interessanti per come ritraggono il nostro paese. Uno è attualissimo "Benvenuto Presidente", l'altro forse lo è ancora di più "Viva la libertà".
Dopo la serata angosciante che abbiamo vissuto ieri, noi che ancora ci ostiniamo a votare PD, sulla proposta "condivisa" della candidatura Marini,  ho cambiato alcune opinioni su questi film.
Avevo inizialmente pensato che coglievano un aspetto disperante ed un aspetto di fiducia.
"Benvenuto Presidente" racconta in modo ironico l'impasse del nostro paese, con tratti a volte troppo antipolitici, soprattutto nell'avanzare una critica alla politica senza distinzioni. Si riscatta nel finale, quando ricorda che ognuno di noi è suscettibile di errore, quindi il rinnovamenteo non può basarsi solo sul trovare persone nuove, il vero rinnovamento è mettere in moto processi democratici nuovi.
La scena più significativa del film è a mio modo di vedere quando il presidente suo malgrado trova i faldoni delle proposte che giacciono inascoltate negli archivi, comincia a leggerle e le propone in disegni di legge, superando vincoli di ostilità e di casta, mettendo in moto un processo di cambiamento attraverso regole nuove.
Le regole sono tutto, le regole sono importanti, perchè sono il metodo.
Nella scienza si dice che il metodo scientifico non è quello che  afferma la verità, ma quello che  limita l'errore. Un esperimento è tale non perchè dà una certezza, ma perchè ti dice con quale margine puoi anche sbagliare.
Le scienze umane sono meno affidabili perchè calcolare il margine di errore dei comportamenti umani è una sfida davvero complicata. Non basta proporre semplicemente delle persone che siano "nuove", è necessario valutare il loro comportamento in relazione al comportamento del loro gruppo  sociale. Dando comunque anche alle persone e ai gruppi più affidabili un margine di errore.
Quindi tornando alla politica ed alla elezione del presidente questa volta il M5S ci ha surclassato. Mi spiace ammetterlo, ma è così.
Ha indetto una consultazione, certo non davvero trasparente e non universale rispetto ai suoi elettori, però comunque ha colto cosa si aspettavano gli iscritti. I grandi elettori del PD non ci sono riusciti. Non hanno osato essere davvero vicini ai messaggi che sono arrivati dai suoi elettori, non hanno avuto coraggio.
Neanche Bersani questa volta è riuscito ad ascoltare ed a prevedere quello che sta davvero succedendo.
Nel film "Viva la libertà" la pazzia del gemello (se poi è davvero un gemello) riesce a liberare energia, rompe gli schemi usuranti del partito, si sintonizza con le aspirazioni che si muovono nel paese.
Certo potrebbe sembrare proprio il contrario di quanto sto sostenendo, cioè che le regole vadano seguite, le regole che imbrigliano la libertà.
Ma non si dà libertà senza limiti.
Non si dà scienza e progresso se non si è in grado di immaginare soluzioni alternative, di cogliere quale è davvero la domanda irrisolta e di cambiare prospettiva per affrontarla. La scienza è anche salto di paradigmi, rovesciamento di sistemi, capacità di cambiare totalmente prospettiva, come Copernico, che ha messo al centro il sole, ma poi c'è stato Galileo a dimostrare che questa ipotesi aveva margini di errori minori dell'altra.
La sfida nella quale si trova ora il PD è la stessa: deve cambiare il paradigma di riferimento, che non può essere più Berlusconi o antiberlusconi, le larghe intese, che ricordano tanto la vecchia DC o la polemica con gli avversari interni. Deve avere la forza di seguire davvero un cambiamento e di puntare poi su un metodo costruttivo che limiti gli errori.
Una sintesi avrebbe potuto essere davvero il rilancio della ipotesi di Rodotà oppure, insisto, di una donna come la Bonino. Prima ancora che la Gabanelli e Strada rinunciassero, avremmo potuto spiazzare tutti con un candidato forte e riconoscibilmente "nuovo". Avevo sperato che Bersani avesse questa quota di pazzia, ma mi sbagliavo, è troppo "padre di famiglia" per poterlo fare e non ha un alter ego, un gemello che riesca a volare.
Quindi ho cambiato opinione sui film, avevo pensato che potessero anticipare la realtà, come in parte è avvenuto per il film di Moretti "Habemus Papam". Avevo sperato che il messaggio di fiducia cogliesse un segno che i tempi  stanno cambiando. Sembra non essere così.
Che tristezza questo paese...


sabato 23 febbraio 2013

I democratici, Lincoln e il voto utile.

Confesso la mia ignoranza: non sapevo che il partito repubblicano degli USA era favorevole alla abolizione della schiavitù ed invece il partito democratico era contrario.
Sono uscita dal film  Lincoln di Spielberg  con una nuova informazione che sono subito andata ad approfondire cercando sulla rete. Non credevo ai miei occhi di europea, non ricordavo di aver mai studiato questa parte della storia americana o almeno non avevo mai focalizzato che il partito che oggi esprime il primo Presidente nero degli Stati Uniti fosse stato una volta contrario, per lo più, all'abolizione dello schiavismo della gente nera.
Incredibile. Solo questa informazione vale il film, che invece nel complesso  è un po' noioso.
Tra l'altro navigando nella rete ho trovato un articolo di un professore spagnolo, Vincenc  Navarro, che evidenzia come Lincoln non fosse solo favorevole a questa importante battaglia sui diritti dei neri, ma avesse anche favorito i sindacati di lavoratori e fosse in contatto epistolare con Marx (http://www.democraziakmzero.org/2013/02/02/il-lincoln-che-nel-film-non-ce/). Insomma era in effetti un partito repubblicano ben diverso da quello attuale.
Però il tema principale del film, oppure quello che a me ha colpito maggiormente, riguarda il costo di sostenere e perseguire  obbiettivi fondamentali. Lincoln viene presentato come un personaggio macchiavellico, per il quale il fine  giustifica i mezzi. Non  uso macchiavellico come un termine negativo, infatti Spielberg  non costruisce un personaggio oscuro, casomai un personaggio complesso, più avanti della sua generazione, consapevole che la battaglia per il tredicesimo emendamento non sarebbe stata portata avanti una volta conclusa la guerra. Daniel Day Lewis è capace di ombreggiare efficacemente sia la durezza che l'idealismo di Lincoln. In quel periodo storico non era certo maturato un senso comune diffuso egualitario, neanche un vero rifiuto della schiavitù. C'erano forti motivi economici dietro la guerra civile e ci sarebbero voluti ancora decenni perchè si cominciasse ad affermare l'idea di una uguaglianza effettiva delle razze.
Il Lincoln raccontato da Spielberg è un uomo disposto a compromessi. Fa fare promesse ai parlamentari per acquisire il loro voto, è disposto a rallentare il processo di pace, per ottenere prima il voto positivo al suo emendamento. Si chiede quante vite questo potrà costare. La scena però secondo me più bella è quella nella quale il parlamentare repubblicano Thaddeus Stevens, fermo sostenitore della causa antischiavista, rinnega, in un certo senso, il suo pensiero più radicale, la piena acquisizione dei diritti per i neri, anche quelli politici, pur di far passare l'emendamento della abolizione della schiavitù.
Si vede chiaramente come questa sia una scelta che gli pesa,  Tommy Lee Jones interpreta bene il suo dilemma, ma alla fine è disposto a rinunciare alla piena attuazione dei suoi ideali purchè sia fatto un passo avanti importante verso la liberazione dei neri nel momento attuale. Insomma sostiene il voto utile, utile alla causa del momento piuttosto che alla coerenza con se stessi, utile a migliorare subito le condizioni di migliaia di persone piuttosto che a testimoniare la propria diversità e superiorità.
Chissà se anche oggi, nella giornata di riflessione pre-elezioni,  qualcuno si troverà a fare la stessa scelta.

domenica 17 febbraio 2013

Chi ha fatto il classico?

Lo spettacolo di Paolini ITIS Galileo inizia con una serie di domande al pubblico sulla scuola superiore frequentata. Perchè, ci dice, chi non ha certe nozioni base di filosofia non può capire quale rivoluzione sia stato il Discorso sui massimi sistemi di Galileo.  Mi ha fatto ricordare che una delle materie che amavo di più era proprio Filosofia. Lo spettacolo sulla vita di Galileo riesce allo stesso tempo a ricostruire, attraverso le vicende biografiche del fisico e scienziato, l'atmosfera del tempo e a sottolineare la novità della proposta di Galileo, che non sta tanto nel sostegno al sistema copernicano, ma nella possiilità di dimostrarne la verità attraverso il metodo osservativo della scienza moderna.
Galileo fu costretto ad abiurare il sistema copernicano perchè aveva trovato il metodo per dimostrare, sulla base di osservazioni ed esperimenti, che quella teoria era presumibilmente vera, più vera della Tradizione, più vera delle Scritture. Paolini racconta che l'invenzione del cannocchiale è stata la vera svolta. E' un teatro che tiene avvinti, ma che educa, facendo ridere e pensare. Chi ha fatto il classico si ricorderò allora che la funzione del teatro nella polis greca era anche quella di educare, di condividere valori e pensieri della comunità, una funzione riflessiva. Mi è venuta nostalgia degli anni nei quali discutevamo di Platone e Aristotele, di Socrate e poi di Cartesio e Kant e Hegel e Nietzche. Erano gli anni nei quali leggevamo le tragedie, a volte anche in greco, di Eschilo ed Euripide.  Un piccolo gruppo di amici: frequentavamo la stessa classe, studiavamo insieme e polemizzavamo spesso, come se certe idee ci riguardassero da vicino, come se non si trattasse soltanto di qualcosa da imparare, ma di argomenti che potevano decidere della nostra vita. Sono le idee che cambiano il mondo, sono le idee che plasmano il futuro. Ma le idee nascono in un  contesto sociale, in un detrminato momento storico, nascono e vivono inosservate, come la proposta di Copernico, oppure diventano una rivoluzione, se associate ad un altro modo di osservare i fenomeni della natura. Nascono, si diffondono, sembrano scomparire, poi rimangono e risorgono. Forse Galileo non ha mai detto "Eppur si muove", ma questa frase ben rappresenta la capacità di un'idea di resistere.
Sarebbe bello che in tutte le scuole superiori si studiasse la Filosofia, sarebbe bello che il teatro fosse ancora il modo di una comunità di riflettere sui propri valori, sui progetti e sulle idee che ci appartengono. Come il teatro civile di Paolini.
Perchè non è vero che fare il classico non serve a niente. Invece se ogni scuola superiore  stimolasse il senso critico ed il relativismo delle idee, che solo la storia della filosofia può insegnare e che naturalmente gli adolescenti perseguono, non ci ritroveremmo a combattere troppo spesso con banalizzazioni e semplificazioni pubblicitarie. I pensieri slogan crescono in menti unificate.
Il dubbio del metodo scientifico, così come la dialettica delle opere teatrali sono dei buoni antidoti.





lunedì 11 febbraio 2013

Le divisioni a sinistra....per una politica del "ma anche"..

I più acerrimi nemici della sinistra si trovano a sinistra. La storia dei movimenti della sinistra europea si è svolta  con aspri conflitti interni. Alla prima  divisione tra socialisti e comunisti  ne sono  seguite molte altre. Le scissioni hanno caratterizzato la storia dei partiti sovietici, di quelli socialdemocratici, dei partiti italiani che continuano a frammentarsi sull'ala radicale.
Ora che si avvicinano le elezioni e che una coalizione di centrosinistra, che finalmente ha una maggiore quota  di sinistra di quanto non ne avesse l'Ulivo di Prodi, ha delle serie possibilità di vincere, viene naturale interrogarsi sulle motivazioni dell'accanimento con il quale ancora ci si divide. C'è il rischio  che la estremizzazione del conflitto a sinistra faccia uscire una maggioranza labile, che a quel punto dovrebbe per forza ricercare un' alleanza al centro. Proprio ieri sera ho sentito dire ad Ingroia che Bersani si è alleato con Monti, quando sono giorni che il povero Bersani sta ribadendo che l'unica alleanza è quella per la quale sono state fatte le primarie, cioè quella con Vendola e Tabacci.
Si potrebbe pensare che la dialettica a sinistra sia la necessaria proprietà di un sistema di opinioni che in fondo esprime il rispetto di più posizioni, la capacità di confronto anche estremo, la possibilità di esprimere idee nuove ed il sogno di vederle realizzare.
Negli schieramenti di destra, dove è più forte il principio autoritario, è più difficile, o forse meno evidente, la contrapposizione interna ai partiti. E' minore la tendenza a proporre soluzioni diverse da quelle già attuate, dato che l'ideologia prevalente è la conservazione dell'esistente ordine sociale, immaginato  spesso come naturale.
Nei partiti di sinistra invece è più forte la tentazione di affermare le proprie ragioni contro le ragioni di chi in realtà è più vicino e proviene da una base di valori comuni. Anzi a volte sembra che della vittoria elettorale  non interessi proprio, come se l'unico interesse fosse quello di testimoniare un ideale più giusto di quello proposto dal partito immediatamente concorrente. Tra la concreta possibilità di governo ed una utopica prospettiva di cambiamento si sceglie sempre e aprioristicamente la seconda. Come se fosse possibile cambiare un paese perdendo le elezioni.
Ho letto ad esempio il manifesto elettorale di Rivoluzione Civile. Ecco alcune proposte:
patrimoniale per i ricchi, fermare la TAV, ritiro militari dalle zone di guerra, matrimoni e adozioni gay, cancellazione riforma delle pensioni, abolizione delle  province, riduzione costi della politica, ridurre stipendi dirigenti pubblici, bloccare l'acquisto degli F-35.
Accanto ad ognuna delle voci c'è il SI di Ingroia ed il NO di Bersani, accomunato a Monti e a Berlusconi. Manca Vendola, perchè in effetti molte dei progetti sono simili, se non uguali, alle proposte di SEL, ed era quindi difficile per Rivoluzione Civile differenziare le posizioni di Sinistra e Libertà dalle proprie. Attraverso questo trucco di omissione si otiiene  una presentazione efficace, si sceglie di puntare sull'idea "siamo radicali", "siamo i soli a difendere queste idee", "siamo la sinistra vera".
Però le idee non sono argomentate, esplicitate in passi concreti, non si definisce come verranno attuate e finanziate, inoltre non è chiaro soprattutto insieme a quali formazioni politiche si vogliono mettere in atto, dato che è ovvio che non avranno una maggioranza, neanche relativa.
Il Partito Democratico è stato spesso accusato  di avere programmi prolissi, pieni di  mediazioni. Infatti sul suo sito per ogni tema ci sono pagine di proposte, da leggere e riflettere. Una classica parodia è stata quella di mettere in bocca a Veltroni l'intercalare "ma anche". E' una parodia che coglie un aspetto reale e secondo me un punto di forza della posizione del PD.
Non ci sono semplici SI e NO, nei programmi democratici. Si afferma che è bene mantenere l'IMU sui redditi immobiliari più alti e si propone di eliminarla alle prime case dei redditi più bassi. Si propone una politica fiscale che scoraggi le rendite finanziarie ed insieme si progetta il pagamento degli arretrati dovuti alle imprese dalle aziende pubbliche, per rimettere in moto il mercato economico. Si pensa alla economia verde come un motore di sviluppo per nuove imprese, così le battaglie ambientali non sono solo bandiere di NO. Si prova a ragionare cioè in termini articolati e non in bianco e nero. Allo stesso modo il PD propone  il riconoscimento dei diritti civili alle coppie omosessuali, come avviene in Germania, e che sarebbe già un passo importante per la nostra cultura. Sulla riduzione dei costi sono molte le proposte del PD che sono anche già state attuate, come la riduzione delle province o la riduzione delle pensioni ai parlamentari.
Mentre Rivoluzione Civile dimentica che la riduzione dei costi della politica, se ora viene appoggiata solo perchè attualmente è uno dei cavalli di battaglia del populismo, ha però come conseguenza la diminuizione  dei finanziamenti proprio ai partiti che non hanno alle spalle lobby economiche e finanziarie in grado di sostenerli.
I partiti che hanno  delle opportunità di governare  sanno che per farlo hanno bisogno di mediare anche con partiti che non sono sulle stesse posizioni. Solo mediando è possibile realizzare i cambiamenti necessari dopo dieci anni di Berlusconi. Per un governo di centrosinistra sarà più facile andare vicino a un vero riequilibrio fiscale sui patrimoni se le forze politiche con le quali mediare saranno quelle di SEL e non invece quelle di Monti. Ma alle coalizioni come Rivoluzione Civile sembra non interessare davvero che certe proposte vengano attuate, è più importante passare per gli unici dalla parte della ragione e della uguaglianza, anche a costo di perdere le elezioni e di farle perdere a tutta la sinistra, anche al costo di non governare mai.
Sembra cioè che le ragioni identitarie prevalgano su quelle politiche. Sembra, ma vorrei certo sbagliarmi, che per chi sceglie di votare una coalizione come Rivoluzione Civile, sia preminente l'appartenenza alla schiera degli idealisti, delle anime belle che non fanno sconti a nessuno,  piuttosto che la ricerca di alleanze e di mediazioni che portino davvero al governo.
Invece il PD cerca alleanze e soluzioni di mediazioni, anche a costo di non realizzare la scelta ottimale. In un governo democratico forse si è destinati a realizzare solo scelte migliori di altre, non le scelte ottimali.
In effetti, a pensarci bene, la differenza è la stessa che c'era più di un secolo fa. La  divisione è sempre quella tra chi crede che le riforme possano essere realizzate democraticamente e con approssimazioni all'ottimale, i miglioristi, e tra chi crede che la sola strada sia la rivoluzione contro il sistema democratico, finzione di uguaglianza, e l'instaurazione di una dittatura di pochi eletti, che sanno meglio degli altri cosa è giusto per tutti, i massimalisti.
La  divisione è tra chi crede che non ci siano alternative alla democrazia ed al suo sistema continuo di mediazioni, di alternanza tra destra e sinistra, di alleanze anche con il centro, e chi crede che sia ancora possibile sognare una società che faccia a meno di mediazioni, perchè prima o poi, in un sistema comunista, tutti saranno d'accordo su cosa è giusto.
Mio padre mi ha insegnato una differenza importante tra socialisti e comunisti. Mi diceva che i socialisti sostenevano che ad ognuno fosse dato in base al proprio lavoro, mentre i comunisti sostenevano che ad ognuno fosse dato in base ai suoi bisogni.
Certo  sarebbe bello che si realizzasse una società nella quale ogni bisogno venisse soddisfatto. Ma  chi decide quali sono i bisogni che hanno la priorità? Chi decide quali sono i bisogni di persone diverse? Come si fa a decidere in quale modo soddisfarli?
Ecco il punto, a mio avviso.Credo che le posizioni di una sinistra che non è disposta a mediare e che per questo si può permettere di sognare un cambiamento radicale contengano in fondo un grosso rischio, quello di pensare che ci sia un unico modo di arrivare ad una società più giusta e soprattutto che ci sia un'unica società giusta.
Mentre le posizioni del "ma anche", le posizioni di una sinistra che tende ad includere, raggiungono forse dei cambiamenti parziali, ma con la partecipazione più ampia possibile e la più dialettica possibile, senza pensare di rappresentare o di sapere già come sarà una società giusta.

martedì 22 gennaio 2013

"Siamo artificieri del nostro destino"

Siamo stati allo spettacolo Urge di Bergonzoni. Ero un po' scettica perchè la sua comicità la trovo difficile, a volte non afferro subito il gioco e questo mi spiazza. Invece  mi sono divertita molto ed ho anche capito quasi tutto! E' uno spettacolo che andrebbe visto e rivisto, per apprezzarlo davvero. Bergonzoni tiene la scena per un'ora e mezzo, da solo, in un monologo complesso, pieno di destrutturazioni di parole e quindi di pensieri. Rivolta il senso del linguaggio, crea parole che costringono a pensare,  costringono a cambiare prospettiva.
E' una capacità che alcune persone hanno naturalmente (ne conosco una) ed io in fondo le invidio.
I nonsense possono essere comici, assurdi, surreali, ma quando invitano a rivoltare le certezze riescono addirittura ad essere rivoluzionari e creano nuovi pensieri, come una "apologia di creato"!
Mentre cercavo di seguire il suo flusso avrei voluto a volte fermarlo e chiedergli di ripetere e prendere appunti, ma forse anche immergersi nel ritmo serrato che riesce a tenere fa parte del gusto.
Quindi lo consiglio davvero, mi ha conquistato.
Eccone piccole anticipazioni.

Urge di Alessandro Bergonzoni

venerdì 11 gennaio 2013

Nietzsche

Il grande dolore soltanto, quel lungo, lento dolore che vuole tempo in cui, per così dire, veniamo bruciati come una legna verde, costringe a discendere nelle nostre ultime profondità e a sbarazzarci di ogni fiducia, di ogni bontà d'animo, d'ogni camuffamento, d'ogni mansuetudine, d'ogni via di mezzo, di tutto ciò in cui forse una volta riponemmo la nostra umanità. Dubito che un tale dolore renda migliori eppure so che esso ci scava a fondo.

La Gaia Scienza (Adelphi 1993)


Leggevo il libro di Laura dalla Ragione, L'inganno dello specchio, ed ho trovato questa citazione, mi ha colpito.