martedì 18 dicembre 2012

Il concorsone e la meritocrazia.

C'è qualcosa di sbagliato nella  mentalità degli italiani se ci scandalizziamo del medico che commette un errore e dell'insegnante impreparato,  ma ci lamentiamo di prove di valutazione selettive.
Come è possibile selezionare davvero dei professionisti, siano essi medici, insegnanti, magistrati, se non si ammettono dei criteri di valutazione severi ed abbastanza oggettivi?
Le polemiche di questi giorni sulla prova di selezione del concorsone mi hanno provocato alcune riflessioni.
Prima di tutto ho provato a fare la prova con il simulatore online. Al primo tentativo sono riuscita ad arrivare a 33 punti. Sono necessari 35 punti su 50, se si risponde bene si ottiene un punto, se si dà una risposta errata c'è una penalizzazione di 0,5, se non si risponde non si ottengono punti nè penalità. Al secondo tentativo ho totalizzato 28. Al terzo tentativo ho superato la prova col punteggio  minimo 35.
Penso che se mi fossi allenata di più e che se avessi migliorato alcune conoscenza soprattutto nella fisica e nell'informatica, di base, avrei potuto avere buone probabilità di superare la prova. Il mio punteggio era infatti totalmente positivo nelle prove di comprensione verbale, mi mancavano alcuni punti nelle prove di logica (odio gli esercizi in cui va scoperta la regola della serie di numeri), ho fatto un errore su un termine di informatica che non conoscevo e su una frase di inglese.
Insomma nel mio piccolo non ho trovato queste prove così impossibili come vengono descritte dai giornalisti o da chi non l'ha superata. Con questo non voglio sostenere che basti questa prova per insegnare, infatti il concorso prevede che dopo questa prima selezione il candidato abbia 24 ore per preparare una lezione ed un piano didattico, per poi esporlo in mezz'ora di lezione simulata di fronte ad una commissione.
Mi piacerebbe che la discussione sulla valutazione fosse affrontata in modo più serio, mi sarebbe piaciuto che qualche giornalista avesse consultato degli psicologi  che si occupano ad esempio di selezione del personale o dei pedagogisti. Sarebbe necessario che qualcuno cominciasse a porre il problema della valutazione in modo più coerente.
Mi stupisco che proprio degli aspiranti insegnanti si indignino di affrontare una prova oggettiva, che poi è solo una prima scrematura, quando uno dei loro principali compiti sarà proprio confrontarsi con il problema della oggettività della valutazione delle prove dei loro alunni.
Non è facile valutare il merito. Il tema della valutazione delle prove, così come della valutazione della intelligenza o di altre capacità cognitive, è un tema complesso ed è alla base della nascita della psicologia.
Le scienze psicologiche sono nate proprio dalla esigenza delle società moderne di avere la persona giusta al posto giusto. Inizialmente al posto del lavoro, in seguito ad altri tipologie di posti.
Su questo tema si sono impegnati molti studiosi, si è sviluppata la pedagogia e la psicometria, ci sono tesi e opinioni discordanti, ma è tutto fuorchè un tema banale come viene presentato in queste giornate.
A me pare  che il ministero stia facendo per la prima volta uno sforzo per una selezione che non sia condizionata da conoscenze, raccomandazioni, opinioni discutibili, criteri diversi da commissione a commissione. Si sta cercando di creare una prova iniziale che valuti le competenze di base di un buon insegnante: le sue competenze lessicali, la comprensione di un testo, le capacità di ragionamento logico, la conoscenza di alcune formule di base, la capacità di orientarsi sull'uso del computer e di una lingua straniera. Queste non sono certo tutte le competenze necessarie, ma sono quelle che un buon insegnante deve avere. Perchè sono quelle che richiederà anche ai suoi allievi.
Si obbietta che un insegnante di italiano non deve avere competenze matematiche. Nelle prove che ho trovato la matematica è quella di un buon istituto superiore. Io ho fatto il classico e  non ricordo le equazioni o l'algebra, ma se mi ci mettessi potrei recuperare queste conoscenze. Sono appunto conoscenze di base. La mia capacità di preparare una lezione su Leopardi verrà messa alla prova nell'esame successivo.
Anzi io avrei aggiunto a questo tipo di prove anche un esame delle capacità di comunicazione e di gestione di un gruppo classe. Capacità che sono essenziali in un buon insegnante, ma alle quali purtroppo non prepara ancora nessun corso di studi.
Penso che la nostra classe insegnante  delle scuole superiori dovrebbe avere due lauree, anche brevi: una prima  nella materia che si desidera insegnare ed una seconda in scienze pedagogiche. Invece purtroppo in Italia l'insegnamento è stato per molti una scelta di ripiego (parlo soprattutto per le scuole superiori), mentre è una professione di tutto rispetto, con una sua intrinseca difficoltà, che richiede persone motivate, preparate, intelligenti e con una personalità abbastanza equilibrata. Insegnanti così avrebbero diritto a stipendi ottimi, ma solo dopo una selezione severa.

domenica 9 dicembre 2012

Un luogo per noi

Ci sarà una ragione per cui nei millenni gli essere umani hanno sentito il bisogno di preparare un luogo dove far stare i propri morti.
Oggi ho fatto una veloce visita alla tomba di Matilde, il viale che mi porta in quel luogo mi è sembrato familiare, come un posto che ormai  fa parte della mia vita.
Fino a qualche tempo fa dicevo di non amare i cimiteri. Dicevo che volevo essere cremata e che le mie ceneri fossero disperse. Anche Matilde lo diceva.
Ora invece avere un posto dove poterla ricordare è diventato importante. Certamente il ricordo è sempre con me, è nella sua stanza, nei luoghi di questa città che lei ha vissuto e frequentato, è in ogni persona che l'ha conosciuta e che l'ha amata.
Ma è anche lì, sotto la pioggia e sotto il sole, nel vento e nella terra.
C'è una ragione per cui vogliamo testimoniare il passaggio di una persona su questa terra, c'è una ragione per cui vorremmo che questa testimonianza potesse durare  in eterno.
Gli antropologi fanno risalire all'Homo Sapiens l'usanza della sepoltura dei morti.
La credenza in un'altra vita ci rende umani.
La memoria dei morti ispira la letteratura, la poesia, la musica, l'architettura.
La memoria ed i riti intorno alla morte hanno creato le religioni.
Dalla riflessione sulla morte nasce la filosofia.
Diceva Epicuro che là dove c'è la morte non ci siamo noi e che dove ci siamo noi non c'è la morte.
Epicuro parlava della propria morte, non della morte dei nostri cari.
Mi hanno detto, tra le tante cose che ho sentito, per consolarmi, che se Matilde non c'è più non sente più nulla ed ha smesso di soffrire. La morte è la fine di ogni sofferenza.
Ma dove c'è la morte c'è qualcuno che ricorda e che piange la persona scomparsa.
Dove c'è la morte si crea un buco, un'assenza, incolmabile per chi rimane.
I cimiteri servono alla nostra sofferenza, non servono ai morti, servono a noi.
Per questo non riuscivo a capire e ad amare la loro esistenza, prima di aver subito questa perdita.
Il cimitero è ora diventato un luogo che mi aiuta a tollerare, a volte, la sua assenza, un luogo dove posso avere, a volte, la sensazione di ritrovarla.


domenica 25 novembre 2012

Ancora sulla sessualità e sull'educazione ai ruoli sessuali.

Andrea portava a volte dei pantaloni rosa, Andrea si è impiccato. Secondo alcuni amici e secondo la sua famiglia Andrea era preso di mira dal bullismo di alcuni coetanei omofobi. La Procura sta indagando su questo. Non è chiaro quanto la discriminazione nei confronti di una sua presunta omosessualità, comunque nei confronti dell'adottare comportamenti non conformi alla identità di genere, intesa nel suo senso più ristrittivo, possano aver pesato nella decisione che ha preso. Come ho potuto sperimentare in prima persona, è estremamente difficile capire fino in fondo il gesto di un suicida, soprattutto quando è così giovane. Mi sento davvero vicina ai suoi cari.
 Però una considerazione, mentre ne leggevo, mi si è inevitabilmente presentata: siamo ancora molto lontani da una società nella quale i comportamenti sessuali (e le identità di genere) possano essere liberi e consapevoli. Se si vuole offendere un ragazzo si usano parole per definire la sua presunta omosessualità, per offendere una ragazza si usano parole per definirla come una prostituta. Leggo a volte su Facebook attacchi verbali nei confronti di ragazze, che sono tutti riferiti alla loro "libera" sessualità e la cosa che mi sembra più grave è che vengono soprattutto da altre ragazze. I comportamenti sessuali sono usati come una arma, perchè sono di per sè uno scandalo. Cosa c'è di male nell'essere omosessuali, cosa c'è di male nel fare sesso con più ragazzi? Inoltre si accusa di comportamenti "liberi" solo le ragazze che lo fanno. Mentre i ragazzi che invece hanno molte esperienze sessuali sono "ganzi", ma se non ne hanno possono subito essere accusati di essere gay.

Perchè siamo ancora incatenati in questi stereotipi? Perchè lo sono i nostri figli? Basterebbe una legge sulla omofobia? E una legge che combatta il sessismo potrebbe cambiare davvero questo modo assurdo di pensare? Le leggi sono importanti e spero che l'iter della legge che è stato presentato dalla deputata Concia vada avanti, ma le leggi non bastano. Continuo a pensare che dobbiamo educare le nuove generazioni al rispetto di ogni comportamento sessuale che non leda la libertà delle persone coinvolte e a vivere la propria sessualità in modo che sia un momento per provare piacere e per entrare in relazione con gli altri. In un mondo così forse non esisterebbe neanche la prostituzione.

Ma sento una grande indifferenza rispetto ai temi di una nuova educazione sessuale. Nonostante ora su Facebook molti profili si siano tinti di rosa penso che continuerò a vedere commenti, barzellette o stati sottilmente, ma a volte neanche troppo, omofobi o sessisti. Nonostante la giornata contro la violenza verso le donne, i femminicidii continueranno finchè non saremo in grado di cambiare il modo in cui facciamo crescere i nostri figli, il modo in cui trasmettiamo loro il senso di essere uomini e donne, il significato e la complessità della vita sessuale.

Ci sono associazioni di uomini come Maschile Plurale (www.maschileplurale.it) che finalmente cercano di ragionare su un modo diverso di essere maschi così come molte associazioni e studiose hanno ragionato sull'essere femmina. Sarebbe bello che anche all'interno del corso di studi dei nostri ragazzi ci fosse uno spazio per conoscere il tema e per rifletterci. Ci sono insegnamenti universitari di storia dell'identità di genere, a me sembrerebbe utile introdurre in modo stabile nei curricula delle scuole superiori una "educazione ai ruoli sessuali", piuttosto che l'educazione sessuale come viene comunemente intesa. Mi piacerebbe che si discutesse seriamente di questo, potrebbe portare ad un mondo diverso.

mercoledì 14 novembre 2012

Chi ha davvero l'XFactor nel centrosinistra.

Il dibattito televisivo tra i candidati premier del centro sinistra si è svolto nello stesso studio della trasmissione XFactor. Il format musicale cerca un talento del canto, spesso i giudici dicono di cercare una Voce. Anche il nostro centrosinistra sta cercando una Voce, una persona che sappia interpretare, proprio come un bravo cantante, uno e più temi della nostra situazione sociale e trasmettere delle emozioni che possano portare a vincere le elezioni. A mio parere il giudizio non è semplice. Bersani si è mostrato tranquillo e quasi super partes, come se fosse un capofamiglia soddisfatto della sua turbolenta parentela. Renzi è stato efficace e diretto, ha tenuto bene lo schermo ed il confronto anche quando ha ammesso di aver dato fiducia a Marchionne. Vendola si è prodotto nel suo lato affubalatore, da acchiappanuvole, ma senza strabordare e ricordando che si rivolge a chi ha ancora da acquisire diritti e benessere. Tabacci mi è piaciuto, non l'avevo mai sentito parlare e mi è sembrato competente e convinto di questa alleanza, anche ammettendo le sue particolari differenze sui temi etici. Dalla Puppato forse mi aspettavo qualcosa di più, però nel complesso è stata seria e concreta, puntando sulla sua capacità di amministratore e sui temi della green economy. Non ci sono state offese e grida e tutti hanno mantenuto un tono da bravi fratelli, che a volte non riescono a tenere sui giornali. Nei sondaggi dell'Unità vince Bersani, mentre nei sondaggi del Corriere vince Renzi e in quelli della Repubblica Bersani e Renzi sono alla pari. Vendola rimane terzo in tutti i sondaggi, la Puppato e Tabacci prendono poco, sono minoritari. Però forse quello che è emerso è che ad avere l'XFactor è il gruppo. Mi è sembrato che se riuscissero a mantenere gli stessi toni, la stessa capacità di ascolto e di moderare le opinioni anche quando stendono i programmi e, se mai vincessero, anche quando poi governano, forse la Voce potrebbe essere corale. Vincerebbe un Gruppo, non un singolo. Eppure in ogni buon gruppo ci vuole un leader. Lo dico con franchezza, fino a qualche mese fa tifavo per Renzi. Penso che ha posto sul tappeto delle questioni importanti, che non si possono riassumere schematicamente nella parola rottamazione, ma che hanno un senso per la vita di partiti che vogliono davvero confrontarsi con l'antipolitica e con il futuro. Credo che il suo insistere sul rinnovamento del PD abbia fatto bene al PD. Mi trova fondamentalmente d'accordo anche su alcuni temi di modernità, sul lavoro, sulla scuola, sul finanziamento della politica. Però se vincesse avrebbe contro una buona parte del partito e della alleanza e non so quanto potrebbe giovare questo ad una coalizione che voglia davvero durare e governare. Renzi ha l'XFactor, ma non il gruppo. Anche Vendola ha un ottimo XFactor, anzi direi che proprio per questo riesce sempre ad emergere sia nelle trasmissioni televisive che sui giornali. Ha personalità e progetto, ricorda sempre la possibilità di una società più giusta e questa idea del futuro è potente. Però alla fine anche lui non avrebbe tutto il gruppo alle spalle. Non ci rimane che Bersani, il solido, tranquillo capofamiglia. Ha sicuramente meno carisma, ma può contare sulla organizzazione del partito e su una capacità di mediazione che potrebbe far reggere a lungo il governo, in modo da fare fino in fondo le riforme di cui abbiamo bisogno. L'unico dubbio è che una sua vittoria immediata possa portare troppa sicurezza a chi nel PD pensa che non ci sia niente da cambiare. Allora penso che voterò Bersani in seconda battuta, al secondo turno delle primarie .....l'hanno messo apposta un secondo turno, no?

giovedì 1 novembre 2012

Solidarietà

Ieri ho incontrato una persona che in genere saluto, senza conoscerla davvero. Mi ha fermato, sapendo del mio lutto, e mi ha chiesto come sto. Ho risposto vagamente, non sapevo bene cosa dire, non siamo in una relazione di confidenza. Questa persona ha cominciato a dirmi che la morte di Matilde ha sicuramente un senso, che ora non posso vedere, ma che forse col tempo potrò scoprire. All'inizio mi stavo irritando, infatti ho risposto che ora tutto mi sembra solo assurdo. Ma poi ha continuato a parlare, mi ha detto che la vita è crudele, ma eventi così tragici possono servire a vedere la nostra posizione nel mondo in un'altra prospettiva. Ha accennato al fatto che anche a lei era capitato qualcosa di simile, non una morte, ma una sofferenza molto grande. Ne aveva colto il senso solo con il tempo. L'ho ascoltata pensando che voleva rassicurarmi, che voleva in qualche modo sostenermi. Ho pensato che è questa la solidarietà: quando ci si trova di fronte all'inspiegabile, assurdo modo che ha la vita di colpirci e si cerca di fare fronte comune, si cerca di ridare un senso a quello che non sembra averne. Mi ha colpito molto in questi mesi il fatto che diverse persone che credevo semplici conoscenti si siano avvicinate per dirmi qualcosa, per mostrarmi in qualche modo la loro solidarietà. Hanno trovato, in forme diverse, un modo per dire: è vero, è terribile, è capitato a te, ma può capitare a chiunque ed in questo voglio esserti vicino, voglio darti una speranza, voglio testimoniare la nostra finitissima umanità. La solidarietà sta nella testimonianza dell'umana fragilità e dell'unica forza che vi si può opporre, la condivisione. L'ho abbracciata e baciata, quella persona, prima di questo momento non le avevo mai neanche stretto la mano. Volevo ringraziarla e farle sentire che la sua vicinanza l'accettavo, con un abbraccio, uno dei gesti più belli che hanno gli uomini per stare vicini. Ho abbracciato tante persone ultimamente.

venerdì 5 ottobre 2012

Galleggiare su un dolore immenso

Sono passati tre mesi e qualche giorno dal momento in cui ti abbiamo perso.
Sentiamo moltissimo la tua mancanza, ma abbiamo anche ripreso a vivere.
In quei terribili giorni avrei voluto che il mondo si fermasse, che tutto si bloccasse. Avrei voluto congelare le nostre vite. Ma non succede così.
Io e tuo padre  stiamo andando al lavoro, Valeria sta andando a scuola, ha ripreso le lezioni di danza e di pianoforte. Giuseppe è venuto a vivere con noi.
La nostra vita scorre, anche se  sembra galleggiare su un dolore immenso che è solo poco sotto la superficie. Basta un niente perchè riaffiori e ci inondi, una tua foto, un vestito, un profumo, una ragazza della tua età, vista per strada, con lo zaino.
A volte penso che sarà sempre così, che questo dolore fa ormai parte della nostra vita e non se ne andrà.
Penso che continuare a vivere sarà galleggiare sul dolore, ogni tanto immergersi e cercare di non sprofondare, poi tornare in alto, a respirare.
Eppure nonostante questo, o forse anche per questo,  la voglia di vivere è più forte che mai.
Voglio vivere a lungo, il più possibile.
Voglio tenermi in salute e vedere crescere Valeria, voglio vedere i suoi figli e vederli crescere.
Mi dicono che sono forte, ma non è questo. Non so cosa significhi esattamente essere forte o debole.
So che ho perso qualcosa di così prezioso, so che le nostre vite sono state ferite così profondamente che la spinta a vivere ogni momento è diventata più potente.
Ogni volta che  sento di lasciarmi andare, che immagino di dormire e non svegliarmi più, risorge una spinta a continuare, comunque. Siamo vivi e abbiamo la responsabilità di dare un senso comunque a questa vita.
Anche quando sembra non averne.
Soprattutto perchè sembra non averne.


venerdì 13 luglio 2012

Lettera a Matilde


Vorrei chiederti perdono, amore,
per quella sera, per essermi arrabbiata, per averti lasciato da sola, per averti fatto sentire la mia delusione, per non averti costretto a parlare ed aver accettato che te ne stessi in camera tua.

Vorrei riuscire a credere che sei da qualche parte ad ascoltarmi e che puoi vedere il mio dolore lancinante, il dolore immenso di tutti quelli che ti volevano bene.

Vorrei che tu fossi in grado di perdonarmi.

A volte dopo che avevamo discusso, (non era la prima volta che succedeva..) ti chiedevo scusa, ti ricordi? A volte ti dicevo che ero stata io a sbagliare. Pensavo che questo avrebbe messo degli anticorpi nel nostro rapporto: non volevo che tu mi sentissi infallibile, che pensassi che non si poteva rimediare agli sbagli. Pensavo che avrebbe insegnato anche a te a chiedere scusa.

A volte invece facevo la dura, perché pensavo che ti avrei fatto capire che dovevi essere più responsabile, che dovevi pensare alle conseguenze di quello che facevi, perché è giusto essere in grado di affrontarle. A volte ti ho messo in punizione, anche per lunghi periodi, e mi sembrava che capivi, che accettavi e cercavi di riparare.

Perché è possibile rimediare agli sbagli.

(tranne a questo...tranne a questo)

Mai avrei pensato che tu potessi fare il gesto che hai fatto.

Mai nessuno, tra chi ti amava e ti era vicino, ci ha pensato.

(Ho chiesto, sai? Ho cercato e cercato ogni indizio, ogni segno..)

Quella sera cercavo di farti sentire il rischio che correvi, quanto potevi cambiare la tua vita. Non ho pensato che ti saresti sentita abbandonata, che ti saresti sentita così colpevole da punirti, mai avevo avuto dei segnali da te che potevi farti del male.

Non eri depressa, non eri malata, non eri in conflitto con me, con noi.

Hai pensato che ti saresti trovata da sola con una vita che non avresti saputo gestire, pensavi che non ti avremmo fatto legare a lui.

Penso che lo amavi davvero, ma anche che cominciavi a vedere che c'era qualcosa che non andava. Ti sei trovata in una situazione del tipo “né con te, né senza di te”.

Hai creduto di risolverla eliminando te stessa.

Hai avuto l'idea pazza che era meglio levarti di mezzo e che sarebbe stata la soluzione per tutto.

Oppure forse ha ragione la mia amica, forse ti sei solo affacciata troppo dal balcone interrogandoti su quanto fosse possibile fare davvero quel gesto ed hai perso l'equilibrio.

Sono sicura che se potessimo incontrarci di nuovo, se potessimo abbracciarci, se potessimo parlarne insieme, rimedieremmo a tutto questo. Penso che ti chiederei scusa di averti lasciata sola a piangere, di aver chiuso quella porta. Penso che anche tu mi chiederesti scusa, che ti renderesti conto di quello che hai fatto e che non volevi davvero fare.

Intanto se ci sei, da qualche parte, se mi stai guardando, se mi puoi ascoltare, nei miei pensieri, ti chiedo perdono.

Perdonami, amore, ed io ti perdonerò.


(Questa è una delle foto che scattava Matilde.)

domenica 24 giugno 2012

La Bosnia, l'Europa dei sogni e l'Europa dei banchieri

Questa estate andrò in Bosnia, a Sarajevo, a Mostar. E' un progetto che coltivo da diversi anni, non solo per la bellezza delle città e dei paesaggi. Durante le guerre dei Balcani degli anni 90 cercavo di tenermi informata su quanto stava succedendo, non potevo capacitarmi di quello che succedeva solo a pochi chilometri dalle nostre sponde. Leggevo gli articoli di Sofri e condividevo le sue posizioni.
In quegli anni i paesi della Unione Europea hanno davvero dato una pessima prova.
L'Europa è nata da un sogno di pace e di cooperazione. I padri fondatori hanno vissuto la seconda guerra mondiale e volevano evitare ancora conflitti così disastrosi. Avevano in mente una federazione di stati che potessero cooperare allo sviluppo e vivere in pace.
Se si leggono i principi dell'ultimo trattato europeo, il trattato di Lisbona del 2009, si trovano parole come "diritti, libertà, sicurezza, solidarietà, partecipazione, democrazia".
Durante l'assedio di Sarjevo, la pulizia etnica, i campi di concentramento le istituzioni europee non sono state capaci di avere una reale presenza. Ogni paese europeo si è mosso autonomamente, a volte addirittura in contraddizione uno con l'altro, secondo logichepolitiche antiche e non adatte a comprendere e a valutare attentamente quello che stava succedendo.
Sto leggendo il libro di Paolo Rumiz Maschere per un massacro (Feltrinelli 2011), che sostiene che le ragioni della guerra non erano quelle che la propaganda ci vendeva. L'odio etnico era una maschera, una copertura ben gonfiata ed orchestrata per coprire le vere ragioni della guerra. Motivazioni economiche e politiche stavano alla base della creazione dello scontro tra etnie, tra persone che avevano vissuto a contatto per cinquanta anni. Rumiz racconta che il vecchio establishment comunista, in crisi per la caduta del muro e delle nazioni che il sistema sovietico aveva tenuto insieme, ha cercato di mantenere il proprio potere attraverso la creazione di guerre sulla base di motivi etnici. La guerra ha creato ed ampliato un mercato nero, mafioso, ha permesso l'appropriazine di fortune con la scusa di spostare ampie popolazioni, ha creato una situazione di odio ancora maggiore di quella precedente, se davvero c'era.
L'Europa su tutto questo non è stata capace o forse non ha volto intervenire. La situazione che è uscita dagli accordi di Dayton , gestiti come al solito dagli Stati Uniti, non dall'Europa, è stata un riconoscimento di fatto degli spostamenti forzati e della pulizia etnica.
Dopo questo enorme fallimento le istituzioni della UE si avvertono solo quando ci sono decisioni economiche da prendere. La creazione del mercato comune e la nascita della moneta unica sono i soli risultati.
In questo modo però l'unica Europa visibile, quella che gli europei vedono sui giornali, che sentono nella lora vita quotidiana è l'Europa delle banche e dei banchieri. Si parla di Europa e di spread, di euro e di uscire dalla moneta unica, del debito pubblico da risanare perchè lo chiede l'Europa, ma dell'Europa dei diritti e della vera cittadinanza non si sente parlare.
In questo hanno una grande responsabilità anche i parlamentari europei, che non riescono e non possono, non so,  proporre dei progetti legislativi credibili che possano appassionare i cittadini europei. Penso a progetti su grandi temi, sullo sviluppo, sulla cittadinanza, sull'inclusione.
Mi piacerebbe che ci fossero iniziative legislative europee che salvaguardassero i diritti, che proponessero politiche di sviluppo e salvaguardia del lavoro, che finanziassero la cultura europea, cercando ad esempio di aumentare gli scambi culturali.
Certo c'è l'esperienza dell'Erasmus, ci sono alcuni finaziamenti che a volte neanche vengono utilizzati, soprattutto da noi italiani, ma manca un sogno di grande respiro.
Manca il Sogno Europeo, il Progetto di creare una Federazione polica reale, viva, non solo formale.
Se continua ad essere solo una federazione di banche e di istituzioni che pongono limiti e sacrifici le spinte secessioniste, come ora in Grecia, come per alcuni politici opportunisti italiani, potrebbero essere più forti, fino a uccidere il sogno europeo.



sabato 2 giugno 2012

Un nuovo arrivo

E' nato da una decina di giorni il mio nipotino, Fabrizio, il figlio di mia sorella. Lei è una persona molto riservata e certo non mi permetterà di pubblicare la sua foto, il che mi dispiace molto.
L'emozione che ho provato è stata intensa quasi quanto la nascita delle mie bimbe e non credevo che potesse succedere: in fondo durante la gravidanza mi ero sentita coinvolta, ma non in modo così intenso. Il discrimine  tra avere o non avere "la pancia" sta tutto nelle sensazioni che solo chi ce l'ha può provare. Chi sente il proprio corpo cambiare, non sempre in modo gradevole, chi avverte i movimenti del bambino ha da molto prima la possibilità di abituarsi alla nuova presenza. Invece chi non ha la pancia ne avverte in modo speciale la presenza solo quando lo può vedere, prendere in braccio, guardare negli occhi. Per questo sono corsa a vederlo anche a chilometri di distanza il giorno stesso che è nato e intanto ho annunciato a tutti che ero diventata zia. Poi vederlo e toccarlo è stato bellissimo!
Un nuovo arrivo è un miracolo così normale, è un avvento speciale eppure così ripetitivo nella vita delle famiglie! Lo so che sono sembrata quasi una pazza ai miei colleghi di lavoro, agli amici, a chiunque annunziassi che era nato Fabrizio, ma so anche che hanno capito, a molti è capitato lo stesso.
Mi ricordo l'emozione che ha scatenato nei miei familiari la nascita delle mie bambine e come mi era sembrata strana. Io in fondo sapevo che la nascita sarebbe stato solo un incontro su un altro livello percettivo. Avrei dato un aspetto fisico alla mia bambina, ma  sapevo già che c'era, sentivo che c'era. Quando ho visto per la prima volta Matilde, ma anche quando ho visto Valeria, che così le somigliava, ho pensato che era proprio come l'avevo già immaginata, proprio come l'avevo sognata. Invece  non sapevo  come fosse il mio nipotino ed all'inizio l'osservavo come si osserva chi si deve imparare a riconoscere. Fabrizio mi ha reso zia. Insieme a lui è nata una mamma, un papà, altri nonni e tanti zii e cugini.
Un nuovo arrivo ed una nuova famiglia.



venerdì 25 maggio 2012

Il non partito ed il partito della tradizione

Devo dire che tutta la vicenda del Movimento Cinque Stelle mi sta appassionando. Non ho mai nutrito particolari simpatie per esso, soprattutto non per Grillo, che mi ha sempre dato l'impressione di un capopopolo demagogo. Riconosco che alcuni punti del  programma M5S sono condivisibili, ma non è neanche questo il motivo che mi spinge a leggere gli articoli e i post sul loro forum.
Mi affascina il tentativo di vendere l'idea che sono fuori dal sistema: si definiscono un movimento e non un partito. Si sono presentati alle elezioni con un non-statuto, se devono offendere o attaccare qualcuno all'esterno così come all'interno usano l'aggettivo "partitico" o "politico". Rifiutano i finanziamenti pubblici, per iscriversi non bisogna essere stati iscritti a un partito o ad una associazione politica. Cercano una immacolatezza politica come se avere a che fare con qualsiasi cosa abbia riguardato i partiti sia di per sè ed in assoluto negativo.
Eppure si trovano ora a confrontarsi con le responsabilità di un gruppo sociale che acquista rappresentanza all'interno delle istituzioni. Non vogliono chiamare questo gruppo sociale partito, possono anche, se vogliono conservare la loro immagine di pulizia,  chiamarlo non-partito, come il loro non-statuto, ma non basta un gioco linguistico per cambiare la sostanza della loro organizzazione. Sono già più avanti di un movimento, sono a tutti gli effetti una gruppo sociale organizzato (anche se sul web) che ha conquistato una rappresentanza politica in istituzioni di governo. Un movimento si crea sulla base di rivendicazioni parziali, a breve termine, ed infatti Grillo è partito con 5 obiettivi, le cinque stelle. Ma quando si governa una città bisogna anche proporre una visione complessiva di quello che si intende fare sullo sviluppo, la disoccupazione, le tasse.
Ora si stanno quindi  confrontando con le dinamiche della rappresentanza. Pensavano che bastasse il luogo della loro nascita, la rete internet, a preservare la democrazia diretta che dichiarano di voler perseguire. Ma è sempre più chiaro che quando c'è un padrone di un simbolo politico (caso unico penso nel mondo) che si permette di espellere e scomunicare e intervenire sulle candidature senza nemmeno ascoltare le opinioni degli iscritti, l'idea di essere un movimento che vive una democrazia diretta non è più difendibile. Si affacciano infatti sul forum commenti che consigliano di stare attenti a chi si candida, per evitare "infiltrazioni", ci si affida al giudizio del capo come se avesse una sorta di infallibilità e ciò non mi sembra coerente con una democrazia diretta e partecipativa. Anche perchè la storia insegna, fin dai primi governi democratici della antica Grecia, che non c'è nulla di più illusorio dell'idea di una "diretta" manifestazione della volontà popolare.
Ogni società è organizzata in gruppi sociali ed ogni gruppo rivendica la sua affermazione attraverso delle forme che sono necessariamente organizzate, che hanno dei ruoli, dei punti di discussione e confronto, dei meccanismi di scelta. Come è pensabile organizzare un programma senza trovare delle idee, discuterle, confrontarle, sceglierne alcune ed escluderne delle altre? Chi decide entro quali tempi, con quali forme presentare il programma, chi decide chi candidare e chi escludere? Chi decide chi deve prendere queste decisioni?
Il punto vero quindi non è evitare la mediazione delle varie forme di partito, ma riuiscire a fare in modo che la rappresentanza sia chiara e trasparente.
Per questo anche la battaglia contro il finanziamento pubblico ai partiti mi sembra demagogica: è forse preferibile il finanziamento occulto di grandi lobby private? I partiti della sinistra italiana non avrebbero potuto sopravvivere in tempi di scontro sociale radicale se non avessero avuto i finanziamenti pubblici. Ora pensare che un non-partito possa finanziarsi solo sulla base volontaria significa già dichiarare il proprio gruppo sociale di appartenenza: la giovane borghesia imprenditoriale delle nuove tecnologie. Non a caso come grande organizzatore del Movimento c'è Gianroberto Casaleggio, un manager che si occupa ufficialmente di gestire i siti web delle aziende, ma che è stato prima l'organizzatore della scesa in campo di Di Pietro ed ora sembra il ghost writer di Grillo e delle sue proposte politiche, compresa qualcuna razzista sulla cittadinanza.
La fortuna del M5S mi sembra che stia soprattutto nella sua pretesa di stare fuori dal sistema, così come veniva rivendicato prima dalla Lega, così come è stato inizialmente la scesa in campo di Berlusconi, così come potrebbe essere il movimento di Italia Futura di Montezemolo.
Gli italiani sono ancora in maggioranza, come diceva qualcuno che ora non ricordo, degli anti-stato, sono nella loro breve storia unitaria anti-politici. A una gran parte dei miei concittadini non piace l'idea che la politica sia soprattutto mediazione istituzionale e che non si può aggirare la fatica di correggere, rendere il più possibile trasparente e partecipata, la democrazia indiretta. Una parte di loro preferisce affidarsi a figure carismatiche ed apparentemente trasgressive. Un'altra parte  coltiva il mito della democrazia diretta. Nel M5S sembrano incontrarsi entrambe.
La democrazia diretta può funzionare su piccoli numeri, ma chi ha partecipato ad estenuanti assemblee di classe alle scuole superiori sa che a volte anche scegliere una meta per una gita scolastica implica mediazioni e dinamiche sociali più complesse che l'espressione semplice di un voto. Per prendere decisioni che indirizzino la vita di un Paese sul lungo periodo e non solo sull'immediato c'è bisogno dell'intervento di strutture sociali, di organizzazioni che storicamente hanno preso la forma dei partiti politici tradizionali. I partiti hanno bisogno di persone formate, competenti, che dedichino del tempo e che siano ben ricompensati, per impedire che si cerchino indirettamente altri finanziamenti grazie al loro potere.
Questo a mio modo di vedere è il motivo per cui il PD, pur nella sua crisi di rappresentanza, resiste alla crisi dei partiti attuali, non è crollato come il PDL o imploso come la Lega.
Il limite che vedo, quello che purtroppo alcuni anni fa mi ha allontanato dalla vita interna del partito, è una certa rigidità, l'incapacità di aprirsi davvero a nuove partecipazioni, a nuove energie. L'esempio della corrente dei Mariniani che si è imposta nelle primarie del 2009 è tipico. Il PD è bravo a mantenere una dialettica interna che non porta a modifiche reali dei gruppi di potere interni. Per questo è più stabile e più impermeabile. E' un peccato, perchè in questo modo non riesce a intercettare la richiesta di cambiamento che sta attraversando il paese e che potrebbe essere indirizzata davvero verso forme più adeguate di democrazia.

giovedì 3 maggio 2012

Il teatro della scuola

Siamo stati tre giorni ad una rassegna teatrale nazionale a Serra San Quirico: la classe di Valeria, i genitori dei bambini, le maestre. L'anno scorso nella rassegna provinciale del teatro della scuola di Grosseto la III° C aveva ottenuto una segnalazione per partecipare alla manifestazione che prevede l'intervento di alcune scuole segnalate da tutta Italia.
Lo spettacolo era Il canto di Natale di Dickens, che i bambini e le insegnanti avevano messo in scena con l'aiuto di attori professionisti. I bambini hanno seguito dei laboratori teatrali fin dalla prima, sempre con grande entusiasmo.
Sono stati tre giorni particolari sia per i genitori che per i bambini e penso anche per le maestre. C'è stato un clima di intensa partecipazione, persone diverse si sono trovate a discutere insieme, a condividere esperienze personali, a scherzare e a sentirsi uniti dalle emozioni trasmesse dai bambini. Abbiamo visto gli spettacoli di altre scuole e partecipato a laboratori teatrali per i bambini. Di un laboratorio siamo rimasti un po' sorpresi, era un'esperienza multisensoriale e la sorpresa a volte si è manifestata con il riso. I bambini si sono divertiti, anche se forse non hanno compreso proprio tutto quello che si voleva trasmettere. Quando gli è stato chiesto cosa li aveva colpiti della loro esperienza sui bigliettini che hanno lasciato nella scatola del teatro hanno scritto: fantasia, creatività, orgoglio, le cene e le corse nell'albergo, lo stare insieme ai genitori, la gioia di fare le cose insieme, l'esperienza di dormire fuori casa, l'emozione del palco e degli applausi.




In effetti durante lo spettacolo un po' si sono emozionati, non hanno avuto la stessa precisione che avevano l'anno scorso, però è stato molto bello. Tutti hanno recitato seriamente, ognuno con le proprie battute ed un'ottima coordinazione per essere dei bambini. La messa in scena poi era suggestiva, grazie agli attori che ci hanno aiutato e si sentiva che i bambini agivano insieme. C'era un primo attore molto bravo, che ha tenuto la scena tutto il tempo, come se fosse un professionista. Alla fine quando abbiamo applaudito gli attori, tutti hanno avuto la loro parte entusiasta di applausi e quando è uscito Michele, che impersonava il protagonista, c'è stato un vero boato, da parte del pubblico e di tutti i genitori. E' stato bello perchè tutti ci siamo sentiti parte in causa, senza gelosie o recriminazioni. Un ruolo importante l'hanno avuto sicuramente le maestre, che hanno saputo creare un clima di condivisione e di collaborazione, sia tra i bambini che tra le famiglie. C'era anche il nostro preside che alla fine si è commosso parlando sul palco, perchè l'anno prossimo andrà in pensione e gli ha fatto piacere stare con noi in queste giornate. Quando è partita la musica di DeAndrè e si è chiuso il sipario noi genitori siamo scesi dalle gradinate e ci siamo messi a ballare, è stato forse il momento più bello.
In conclusione se ero partita con un po' di scetticismo sono tornata piacevolmente sorpresa da quello che può succedere a partire da uno spettacolo teatrale.


Questa è la recensione apparsa sul giornale della rasssegna:

http://www.teatrogiovani.eu/images/RNTS/2012/Siparietti/9_siparietto_29%20aprile%202012.pdf

giovedì 12 aprile 2012

La psicologa della mutua

Ho scelto un lavoro complicato. E' bellissimo e entusiasmante a volte, per quanto è stressante e frustrante altre. Sugli psicologi si dicono tante cose: si dice che fanno questo lavoro perchè sono loro stessi un po' pazzi ed hanno scelto di curare gli altri per curare se stessi. Si dice che cercano la gratificazione che prova chi dà aiuto. Si dice che possano sentirsi onnipotenti e possano ammalarsi di narcisismo. Si dice anche che rischiano di manipolare le persone che si rivolgono a loro. Insomma non se ne parla poi troppo bene, però alcuni di questi pensieri contengono una parte di verità.
Per me la parte entusiasmante risiede nel sentire di essere stata d'aiuto. Ho già scritto di questo, di come a volte riesco a sentire di aver riparato ad una ingiustizia. E' innegabile che quando finisco una psicoterapia o una consulenza ai genitori con la consapevolezza che qualcosa è cambiato, qualcosa nella vita di quelle persone è migliorato, anche grazie al mio intervento, mi sento gratificata. Mi sento bene anche quando non mi viene riconosciuto direttamente, non c'è bisogno che mi venga detto. So anche bene che i miei sforzi sono solo una parte del risultato e che il lavoro più grande lo fanno le persone, i bambini, gli adolescenti, i genitori, gli insegnanti. Se non c'è una sinergia tra gli sforzi di tutti non è possibile arrivare ad un cambiamento.
Infatti a volte il cambiamento non avviene.
A volte sembra che tutti gli sforzi che si fanno non portino ad una vera svolta, oppure che il cambiamento avvenga così lentamente che appare irrilevante. A volte le persone lasciano, abbandonano, oppure persistono negli schemi di comportamento disadattivi.
A volte non c'è la consapevolezza che è necessario cambiare. A volte la  situazione sintomatica costituisce l'unica modalità che le famiglie conoscono o accettano per affrontare la vita.
In questi casi mi sento impotente, inutile, incapace. Nonostante sappia che non è possibile innescare ogni volta tutte le variabili che producono un cambiamento, continuo a chiedermi se non c'è qualcosa che ho trascurato, qualcosa che avrei potuto capire meglio o prendere in considerazione in modo diverso.
Provo allora a parlare con i colleghi, a cercare altri tipi di approcci. Sono una psicologa eclettica, non mi sono formata in una scuola di psicoterapia "ortodossa" e non seguo un solo metodo. Certo preferisco nella psicoterapia individuale dei bambini e degli adolescenti l'approccio psicodinamico, ma a volte non disdegno di usare tecniche di stampo cognitivista. Con i genitori spesso mi ritrovo ad utilizzare tecniche comportamentali, che trovo molto utili quando i bambini mostrano sintomi oppositivi, aggressivi, disregolati. Sempre trovo utile avere un'ottica sistemico-relazionale nel comprendere le relazioni familiari ed a volte utilizzo la psicoterapia familiare come intervento principale, anche se sono limitata dal fatto che è necessario che ci sia un coterapeuta.
Spesso infatti i limiti dell'intervento sono oggettivamente quelli del lavoro nella struttura pubblica: i casi sono molti ed il personale è sempre più ridotto. I servizi non  sono organizzati nel modo migliore, a volte la burocrazia allunga i tempi o rende difficile la formazione specifica, il reperimento del materiale pià aggiornato. Ad esempio abbiamo una stanza per la psicoterapia familiare, che prevede l'uso dello specchio unidirezionale, ma l'impianto di videoregistrazione non funziona correttamente e comprarne uno nuovo è troppo costoso per il budget di questo anno. Inoltre nel mio servizio non ci sono colleghi formati alla terapia familiare ed il progetto di creare un gruppo specializzato a cavallo di più servizi non è ancora decollato.
I progetti non mancano, ne abbiamo diversi molto buoni, ma trovare i finanziamenti è sempre un'impresa. Poi, quando riusciamo ad avere la delibera, ci vogliono mesi per avere i soldi disponibili. Per non parlare del fatto che a volte mi ritrovo a svolgere compiti che non mi spettano. Stamani ho svolto tre colloqui e due psicoterapie e negli intervelli tra un colloquio e l'altro sono andata a supervisionare un trasloco nei nuovi locali per il Centro Diurno per l'Autismo. Durante le vacanze di Natale io ed il mio capo ci siamo ritrovati per imbiancare i locali dove il centro era stato temporaneamente assegnato!!! Certamente avremmo potuto chiedere che lo facessero gli operai, ma avremmo dovuto aspettare altro tempo ed intanto le famiglie non potevano più attendere.
Insomma noi operatori della salute mentale nei servizi è come se fossimo ancora in trincea. Mi dicono che nelle regioni più ricche del Nord le cose vanno meglio, ci sono più risorse e maggiore specializzazione, chissà forse lì non mi sentirei  una psicologa della mutua.
Quando penso a tutto questo, alla fatica e alle frustrazioni, ma anche ai piccoli grandi successi, al sorriso con il quale una mamma mi saluta nel corridoio rivedendomi dopo alcuni anni, mi sembra di fare un gran bel lavoro. Devo ricordarmelo più spesso, ecco. Oggi è stata una di quelle giornate faticose e un po' tristi ed avevo bisogno di ripercorre i motivi per cui domani mi alzerò, mi preparerò ed andrò a timbrare il mio ingresso alla ASL.
Buonanotte.
(eh si, questa è proprio una forma di autoterapia!!!)

venerdì 16 marzo 2012

Hysteria

Dico subito che il film Hysteria (2011 T. Wexler) non è un  un  film che si può definire di culto, non ci sono grandi interpretazioni o un montaggio o una sceneggiatura che colpiscono. Però la storia è divertente, oltre ad essere ispirata alla storia vera: racconta come è nato il vibratore, strumento di piacere e di liberazione femminile. E'  un film  allo stesso tempo umoristico e istruttivo. Ho trovato su internet, ma ancora non nelle librerie online, un libro di Rachel Maines "La tecnologia dell'orgasmo" al quale credo la regista si sia ispirata. I titoli di coda fanno una carrellata fotografica dai primi vibratori a quelli attuali molto interessante.




Nel cinema era divertente osservare le facce delle persone che assistevano alla proiezione, sentire le risate, a volte anche imbarazzate, ma per lo più liberatorie. Per quanto mi riguarda non conoscevo la pratica di alcuni medici di fine ottocento, ma da quello che ho poi letto anche di epoche precedenti, di stimolare direttamente i genitali femminili come cura della isteria. Non sapevo che si ipotizzava un  blocco fisiologico nei genitali che andava "sbloccato" fino ad arrivare al "parossismo". Il dr. Granville, colpito da una tendinite, inventa uno strumento che permette la stimolazione meccanica. Gli orgasmi messi in scena dalle attrici che interpretano le pazienti del dr. Granville possono competere con il famoso orgasmo simulato da Meg Ryan in Harry ti presento Sally. E' la parte più divertente del film.
Ancora oggi ci sono teorie diverse intorno all'orgasmo femminile. C'è anche chi si chiede a cosa serva, da un punto di vista evoluzionistico, c'è chi discute se sia più importante l'orgasmo clitorideo o quello vaginale, c'è anche chi sostiene che non ci sia una reale distinzione tra i due tipi di orgasmo. Insomma  è ancora un campo di studio e di discussione. C'è anche chi sostiene che  si è passati dalla non considerazione del piacere femminile alla colpevolizzazione degli uomini che non si occupano del piacere delle loro compagne o che non possono procurarlo a causa di disturbi della loro sessualità.
I dibattiti dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, che la "normalità" e la "patologia" sono funzioni culturali e sociali e che non si può astrarre da queste condizioni per capire e raccontare anche le "malattie". Il film infatti si conclude con il ricordare che oggi nei manuali diagnostici di psichiatria non compare più l'isteria (anche se è rimasto il disturbo "istrionico" di personalità).
Però la scomparsa dai manuali non corrisponde direttamente alla scomparsa di certe categorie dal senso comune, basti pensare a quanto frequentemente si usi l'aggettivo "isterica" per definire una donna che reagisce in modo un po' eccessivo (anche qui secondo i canoni di una presunta norma) o a quanto frequentemente si attribuisca  l'irritabilità di una donna al fatto che è "zitella" o che "non fa sesso". Spesso sono prima di tutto le donne a farlo, anche a me è capitato.
Così come mi è capitato di essere stata definita isterica o di aver pensato di esserlo!!
Insomma Hysteria è un film che fa pensare a varie questioni, che riguardano le donne, il femminismo, la sessualita, il rapporto con gli uomini e con le classificazioni mediche, e questo per un film mi sembra già molto.

sabato 10 marzo 2012

This is England



This is England è un film sugli anni ottanta in Inghilterra ( 2006 S. Meadows), gli anni degli skinheads, delle Falkland e della guerra della Thatcher. Il ragazzino del film cerca qualcuno che possa dargli l'indicazione di un futuro possibile e di una appartenenza. Trova un gruppo di skinheads, quelli originali, non politicizzati, e si affilia, fa le prime esperienze di una vita da adulto.
Gli anni ottanta sono stati anni particolari, tra la nostalgia per un cambiamento che non è riuscito, quello che era cominciato negli anni sessanta e settanta, e la ricerca di una identità più privata e singolare. Anche gli skinhead erano caratterizzati da questa dinamica: da una parte radicati all'interno di un sottoproletariato che cercava un riscatto e dall'altra  con spinte estetiche e individualiste.
Schaun difende la memoria di suo padre e cerca di essere come lui, senza sapere bene chi fosse. Crede forse di trovarlo in Combo, ma non è mai semplice trovare dei modelli e a strada che ha davanti è ancora lunga. Anche l'Inghilterra cercava la sua strada e pensava di averla trovata nel conservatorismo thatcheriano.  La scena finale di fronte ad un mare grigio, con lo sguardo diretto di Schaun verso gli spettatori, sulla musica degli Smiths. dice molto della chiusura e difficoltà degli anni a venire.


E' un film che riesce a tenere insieme una storia molto intima e personale con la storia sociale e politica  della inghilterra. Un film riuscito.



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domenica 4 marzo 2012

Meditazione mindfulness III

Oggi sono andata al mare, era calmo, con poco vento e poche onde. C'era già la luce prima del tramonto, il sole si stava abbassando. La spiaggia era vuota, senza ombrelloni e con pochissime persone che passeggiavano. Mi sono seduta di fronte al mare, ho chiuso gli occhi, ho assunto la posizione "che ispira dignità" ed ho cominciato a meditare. Mi sono focalizzata sul mio respiro e sul suono delle onde del mare, fino a quando non mi è sembrato che si stessero  sintonizzando. Intanto i pensieri venivano e andavano, come sempre. Ma il mio respiro e il suono del vento e delle onde e della risacca erano sempre lì, sintonizzati o quasi, a fare da sfondo e da àncora per la mia meditazione.

I pensieri erano sempre sulla considerazione di quello che avevo fatto o sul progettare cose da fare, tra il passato ed il futuro. I pensieri sono spesso nella "modalità del fare". Non c'è nulla di sbagliato, non c'è nulla da correggere, se non fosse che spesso allontanano troppo dalla "modalità dell'essere". Non è facile riuscire a vivere momento per momento il presente se si è occupati a giudicare il passato e a progettare il futuro.
Oggi il suono delle onde mi ha aiutato a stare sul momento presente.


domenica 26 febbraio 2012

Il kindle e gli ebook.

All'inizio ero un po' diffidente nei confronti degli ebook. I libri mi piacciono molto anche perchè è bello tenerli in mano, sfogliarli, sentirne l'odore. C'è una differenza tra libri in brossura e libri pieghevoli (io preferisco i pieghevoli, più maneggiabili), c'è il piacere di vederli tutti allineati nella mia libreria, la soddisfazione che dà trovare nuovi modi di organizzarli, oppure lasciarli così un po' spersi tra i vari ripiani, senza ordine. Il libro è un oggetto che ha accompagnato tutta la mia vita. Quando è nata mia figlia Matilde una delle prime cose che le ho regalato è stato un piccolo libro su un anatroccolo, a forma di papera. Lei aveva tre mesi ed ovviamente lo "mangiava" più che guardarlo, ma era bello vederla con quel libro in mano (ed in bocca).





Quindi all'inizio gli ebook, con la loro mancanza di corporeità mi lasciavano indifferente. Non capivo l'utilità di avere un ereader e non pensavo che avrei scaricato gli ebook. Però piano piano mi hanno incuriosito. Prima ho cominciato a scaricarli sul computer. Poi ho cominciato a pensare di comprare un ereader. Mi sono informata ed ho cominciato ad interessarmi al Kindle, l'ho comprato ad un prezzo  accessibile ed ora ne sono  appassionata. E' piccolo, ma si legge bene, lo schermo non è retroilluminato e dà una impressione reale di pagina scritta. E' maneggevole e leggero, si possono archiviare moltissimi libri che si possono scaricare velocemente dal sito amazon.it. Si può navigare in internet con una connessione wi-fi, anche se certo le pagine sono visualizzate in bianco e nero e non come su un tablet. I libri disponibili sono molti, in questi giorni mi sono scaricata molti classici che ora sono gratuiti. Sono andata in vacanza ed ho potuto portare il kindle con una scelta di libri incredibile, prima era impensabile,  io leggo molto velocemente ed ero rimasta a volte senza libri da leggere. Poi me lo porto dietro quando devo aspettare in fila, quando aspetto mia figlia a lezione, quando ho delle pause nel lavoro. Insomma posso leggere ovunque e scegliendo anche il tipo di lettura. Posso evidenziare alcuni punti, aggiungere note e commenti e dare una valutazione sul libro e scegliere se renderlo pubblico. In conclusione il kindle mi piace molto e mi piacciono anche gli ebook. Questo non significa che smetterò di comprare i libri, perchè il loro piacere non è sostituibile, ma comprerò libri ed ebook. Le mie figlie probabilmente avranno più ebook che libri e forse per studiare potrebbe essere anche meglio. Ho sentito che in alcune scuole si sta pensando di sostituire i libri di testo con quelli digitali, oltrettutto per le famiglie sarrebe un notevole risparmio. Forse tra un po' dovrò comprarlo anche a loro.
p.s. non si tratta di pubblicità a pagamento!!! :)

martedì 14 febbraio 2012

Sempre a proposito di sessualità consapevole


Una insegnante di una quinta elementare mi ha chiamato per chiedermi se potevo partecipare ad una riunione con i genitori dei suoi alunni. Il problema era che nella sua classe si è parlato di sesso. Per meglio dire i bambini hanno parlato di sesso tra di loro, in particolare di video a contenuto sessuale che alcuni avrebbero visto e dei quali avrebbero raccontato agli altri. Poi i grandi l'hanno saputo e ne hanno parlato alle maestre, che hanno pensato ad una assemblea nella quale informare  tutti i genitori.
Tra i bambini e i grandi non sono avvenute altre comunicazioni oltre le indagini che singolarmente ogni famiglia ha fatto con i propri figli, per sapere se sapevano, quanto sapevano e chi era stato il "mandante", l'inizio di tutto.
Una volta appurato che nulla era avvenuto per contatti con presunti pedofili (il fantasma che era stato evocato dal alcuni) le insegnanti si sono chieste se non fosse il caso di parlare con i bambini di sesso, di pornografia, dei giochi che a volte appaiono, cercando altro, su Google, di  YouTube, dei pericoli di cercare informazioni su Internet. Cioè se non fosse il caso di fare un po' di sana educazione sessuale.
Sana ma evidentemente ancora impossibile .
Infatti non c'è stato verso di discutere sul serio questa possibilità.
I genitori si sono divisi in due  gruppi, quelli che hanno appurato che i propri figli non c'entravano nulla e che si sono sentiti sollevati (per quanto?) e quelli che hanno invece dovuto fare le indagini ed affrontare anche le domande dei figli sul tema. Ma una volta appurata questa divisione il problema è stato accantonato. Come si diceva una volta "i panni sporchi si lavano in famiglia". La proposta di farli lavare in comunità non è stata affatto presa in considerazione.
Qualche tempo fa scrivevo della mancanza di una sessualità consapevole negli adolescenti e nei giovani.
Ma come possono vivere consapevolmente il sesso se noi non ci poniamo il problema di formarli a questo, come possono essere educati se i mezzi di informazione che hanno a disposizione sono la pornografia, i racconti degli amici, le mezze verità che passano nella scuola quando si parla del corpo umano? Come si può pensare che ci sarà mai una cultura davvero aperta e non discriminatoria se nessuno discute con i bambini degli orientamenti sessuali, di cosa significa essere gay o transessuale, di quali sono le forme del sesso?
Penso da tempo che si dovrebbe fare educazione sessuale alle scuole materne, alle scuole elementari e alle superiori, ogni volta nel modo appropriato all'età, ma ogni volta parlandone. Invece addirittura l'Educazione Sessuale che una volta veniva fatta dai Consultori delle ASL è stata trasformata in Educazione all'Affettività, che è interessante, ma è, permettetemi, un'altra cosa.
La sessualità non è un tema che possiamo lasciare solo alle  famiglie, perchè ci sono le famiglie in grado di affrontarlo e ci sono le famiglie che preferiscono chiudere gli occhi e pensare che i bambini sono angioletti innocenti finchè qualche sporco pedofilo li disturba. Dimenticando e non volendo avere coscienza che se i bambini fossero informati sul sesso sarebbero anche meno preda dei pedofili (che poi spesso sono frequentatori della famiglia, quando non familiari stessi).
Lo so, sto affrontando temi difficili e delicati e so che molti potrebbero non essere d'accordo. Ne ho avuto piena percezione in quella assemblea nella quale non sono mancati i risolini imbarazzati, i richiami alla malattia di chi guarda la pornografia, l'imbarazzo di affrontare il tema con i figli, la vergogna di chi si è sentito coinvolto. Nonostante tutti concordassero sul fatto che il sesso non è un tabù, a me invece è sembrato che  lo sia ancora.
I bambini hanno curiosità sul sesso, è sempre stato normale e lo è ancora di più in una società nella quale le pubblicità, i mezzi di intrattenimento, internet sono pieni di riferimenti sessuali. Però poi ci stupiamo e ci facciamo un problema se i bambini ci chiedono o ancora peggio vanno a cercare informazioni laddove c'è un grosso rischio che ne abbiano di distorte. Non basta proibire, mettere filtri, controllare.
E' necessario parlare, spiegare, rispondere.
Ma bisognerebbe che anche gli adulti, forse loro per primi, facessero un corso di educazione sessuale.

sabato 4 febbraio 2012

Amo Stephen King

E' innegabile: King è uno scrittore avvincente. Riesce a catturare il lettore nella sua trama e tenerlo interessato e attento per pagine e pagine. Non ho mai letto libri di oltre mille pagine con la voracità con la quale leggo King. La sua scrittura a volte è molto bella, ma ciò che davvero tiene il lettore è l'intreccio, la capacità di delineare molti personaggi, di renderne vive le storie. E' un grande cantastorie, il tipo di letteratura che a me piace.
E poi è bravo a dipingere il Male, la sua onnipresenza, la sua banalità e grandiosità, anche quando sembra causato da qualche evento esterno ed estraneo, un essere soprannaturale o extraterrestre.
Il Male è il grande protagonista dei suoi romanzi, un male umano, molto umano. Un Male potente e grandioso, imprevedibile e feroce tiene in ostaggio a volte intere comunità, ma ne è anche il più amato rappresentante. In The Dome (La cupola), il romanzo che sto leggendo, King descrive la parabola di un eletto del popolo che sfrutta un disastro per diventare un tiranno, diventando un pluriassassino.
Anche i bambini sono personaggi molto amati da King, sono in genere coloro che hanno la capacità di vedere qualcosa che i grandi non vedono o non capiscono, in questo romanzo riescono a vedere il futuro ed uno di loro mostra capacità incredibili di strategia. King ha la capacità di entrare nel mondo dell'infanzia come se non se ne fosse mai allontanato.
Sono arrivata alle ultime 100 pagine e come al solito comincio a rallentare la lettura, dopo aver tanto corso, perchè so già che questa storia mi mancherà, che mi sono affezionata ai personaggi, perchè li vedo e li conosco come fossero miei compagni.
Però voglio finirlo, so che alla fine il Male verrà sconfitto, qualcuno sarò sacrificato e gli eroi saranno riconosciuti ed anche se è solo un romanzo questa certezza mi renderà per un po' più serena.

lunedì 23 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 2)

Marrakech non era così calda come pensavo. Mi ero portata vestiti abbastanza primaverili, non mi ero aspettata l'estate, ma il  caldo primaverile. Invece la temperatura era appena più calda che da noi e la mattina e la sera faceva abbastanza freddo. Però la prima sera non mi sono cambiata subito dopo essere uscita per questo motivo. Avevo indossato un  vestito che mi arrivava appena sopra alle ginocchia e dopo qualche centinaia di metri ho cominciato a sentirmi a disagio. Gli sguardi, in particolare delle donne, non lasciavano dubbi sul fatto che era una lunghezza non consentita. In effetti tutte le donne che ho incontrato in quella sera avevano il velo che copre solo la testa, indossavano delle tuniche oppure portavano dei pantaloni e delle lunghe camice. Gli sguardi delle donne mi hanno messo a disagio, gli uomini in fondo mi guardavano appena. Sono tornata in albergo ed anche i giorni successivi ho sempre indossato i pantaloni. Ho visto dopo anche donne marocchine vestite all'occidentale, sempre con lunghezze sotto le ginocchia, certo. Ho visto anche qualche giovane straniera in pantaloncini o minigonna, poche però e sempre straniere.
Mi sono di nuovo interrogata sul tema  del coprire o dello scoprire il corpo, su quanto in ogni civiltà sembra così importante definire dei limiti sul corpo femminile.
Una sera  in un ristorante abbiamo visto uno spettacolo di danza del ventre o danza orientale, come più propriamente andrebbe chiamata. Erano due giovani donne vestite con la classica gonna ed il corsetto corto che lasciava scoperto il ventre ed i fianchi. C'era poi una donna più anziana e coperta che danzava però con altrettanta maestria, per quanto possa giudicare, e forse anche di più, tenendo in equilibrio sulla testa delle candele.
Certo per quanto ho letto (ma qualcuno dei miei lettori potrebbe dirmi di più) le danzatrici una volta erano donne del popolo che si esibivano in pubblico oppure donne istruite dell'alta società che si esibivano in ambienti chiusi e soprattutto per altre donne, ma erano comunque donne che avevano uno specifico ruolo.
Nel mio lavoro incontro spesso ragazze che mettono tutto il significato della loro identità sul corpo, che si ammalano e a volte arrivano a rischiare di morire per modificare il loro corpo, sul quale investono ogni pensiero e sforzo.
In una società che apparentemente non dà più alcuna importanza ai centimetri che le donne scoprono del loro corpo, ci sono ragazze che rischiano la loro vita per conquistare un corpo perfetto nella sua magrezza, così perfetto da scomparire.
Non conosco l'epidemiologia dei DCA nel mondo musulmano, ma alcuni studi indicano che i disturbi del comportamento alimentare siano  tipici delle società occidentali e ancora poco presenti negli altri paesi.
Chissà se nei paesi a maggioranza musulmana  il velo protegge anche da questi disturbi.
Certo quella sera avrei voluto anch'io scomparire dentro un velo.

sabato 21 gennaio 2012

Meditazione mindfulness II

A dicembre ho finito il corso introduttivo alla mindfulness.  Come dicevo nel post di novembre non è stato facile applicarsi quotidianamente e durante la meditazione "lasciare andare" i pensieri. Però una volta sono riuscita a bloccare uno dei miei impossibili mal di testa ed un'altra  ho affrontato un esame medico che mi metteva ansia senza usare antidolorifici. In entrambi i casi mi è stato utile concentrarmi sul respiro, immaginare e sentire che il respiro attraversava le zone che dolevano. Uno degli insegnamenti delle pratiche infatti è non rifuggire le esperienze spiacevoli, ma concentrarsi su di esse. Come in tutte le  esperienze della vita le sensazioni, anche quelle spiacevoli, se non ci opponiamo,  passano. Se a volte facevo fatica ad addormentarmi bastava iniziare a praticare la tecnica del "body scan" che mi ritrovavo a sonnecchiare. Non è proprio l'effetto che dovrebbe fare, ma funziona per allontanare i pensieri che sono i veri disturbatori del sonno. Quindi alla fine del corso mi sentivo molto motivata a continuare la pratica della meditazione, perché è una pratica che ha avuto degli effetti davvero importanti. Ma poi, un po' per  le vacanze, un po' per  il fatto di non continuare insieme al gruppo, ho rallentato le pratiche quotidiane. Ho rimandato le pratiche formali (la meditazione guidata) e quasi annullato quelle informali (la concentrazione sul momento presente nello svolgimento di una attività). Mi è rimasto un atteggiamento mentale che mi aiuta a superare i momenti di inquietudine e difficoltà ricordandomi che sono solo momenti e che in genere, se non li avverso e non vi costruisco intorno una sovrastruttura di giudizi negativi o di sensi di colpa, passano. I momenti negativi passano, sono le nostre aspettative  che spesso ci fanno opporre a quanto succede e ostacolano e quindi complicano gli eventi.
Sento il bisogno di continuare questa esperienza, ho la certezza che può funzionare solo con un costante allenamento e che solo le pratiche quotidiane possono modificare stabilmente l'inquietudine, l'ansia, lo stress di  vivere.

venerdì 13 gennaio 2012

La morte pulita

Ieri sera abbiamo visto un film diverso dai soliti: Kill me please di Olias Barco, regista francese.
Come e perchè si desidera morire? Quale è la morte migliore? Se si potesse scegliere quale desiderio si vorrebbe realizzare? Quali condizioni possono far desiderare la morte? Si è lucidi quando si fa questa scelta?
Sono tante le domande che la visione di Kill me please fa nascere e non c'è assolutamente nessuna risposta. 


Il film ha vinto il premio Marco Aurelio d'oro del Festival di Roma. Ho letto recensioni discrepanti, ma a me è piaciuto molto.Mi ha sorpreso, mi ha interessato il vertice grottesco, assolutamente non è un trattato sull'eutanasia, nè vuole sostenere alcuna tesi, se non forse che chi cerca la morte ha in realtà una carica aggressiva altrettanto forte del suo desiderio. Mi è piaciuta la trasformazione anche stilistica tra la prima e la seconda parte del film, il crescendo dalla ricerca di una morte pulita all'esplodere della  morte folle, sanguinosa e pulp. Il fatto che la pellicola è girata in bianco e nero aiuta l'effetto discrepante che si ottiene dalla asetticità e freddezza iniziale alla confusione e alla macelleria del finale. I personaggi  non sono esplorati in modo approfondito, sono accennati, come spunti di possibilità, eppure rendono il senso che la morte non è mai la stessa, non è mai pulita, non è sicuramente solo una fine.
Bello, davvero.






sabato 7 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 1)

L'impatto con Marrakech non è stato facile. La sera in cui siamo arrivati c'era un sacco di gente in giro, forse anche perchè era la sera dell'ultimo dell'anno. La piazza Jeema El Fna era stracolma di persone e di luci e di suoni e anche di motorini che sfrecciavano senza rallentare tra la gente. I motorini sono i veri padroni della Medina, vanno dappertutto e velocemente, se qualcuno non si sposta abbastanza presto suonano con insistenza, come avessero ogni diritto di passare. Nella piazza ci sono suonatori di tamburo, danzatori uomini vestiti da donne, incantatori di serpenti, ammaestratori di scimmiette, cantastorie. Il pubblico è formato prevalentemente da persone del posto, a differenza di quanto uno potrebbe aspettarsi da quando la piazza è stata dichiarata Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità i turisti non sono la maggioranza, anche se certo molte delle attività proposte sono indirizzate a loro, ad esempio i venditori di acqua, con il loro costume tipico e colorato, che ora certo non vendono acqua, ma sono lì a farsi fotografare.


Quindi la sera in cui ci siamo trovati nel mezzo dello spettacolo delle persone e delle loro lingue, in mezzo ai suoni così diversi, a facce e colori così intensi, mi sono sentita estranea, straniera, in un modo nel quale raramente mi è capitato. Inoltre pur sapendo che ci avrebbero inondato di richieste mi è sembrato fin troppo invadente il loro modo di proporsi. Fin dall'inizio un signore, che si è presentato come Abdul, si è offerto di accompagnarci nella kasba ed ha preso un ritmo fin troppo veloce, indicandoci vari negozi, ci ha accompagnato subito in una spezieria, voleva poi farci visitare un negozio di artigianato ed infine ci ha portato in due ristoranti. Siamo riusciti ad andare da soli solo dopo qualche cortese tentativo ed abbiamo subito imparato che bisogna essere decisi nel rifiutare le loro proposte.
La sensazione di estraneità è anche dovuta alla distanza che si avverte in questo modo di essere trattati: continuamente c'è la sensazione di essere visti solo come stranieri, turisti, persone in grado di spendere, così come poi questo significa che anche la nostra percezione nei loro confronti cambia, si insinua la convinzione di essere fregati, di non potersi fidare di nessuno. Un esempio che ci è successo più volte: mentre cerchiamo un posto da visitare, la Medersa, il palazzo Bahia, o altri musei, se guardiamo la cartina o chiediamo aiuto a qualcuno la risposta è "ma ora è chiuso, apre alle due, vi porto intanto al mercato delle spezie" o qualcosa di simile. Non è vero che è chiuso fino alle due, la prima volta ci siamo cascati, poi non ci abbiamo più creduto, purtroppo però non abbiamo più creduto neanche ad altre affermazioni date in modo così perentorio.
Verrebbe da dire che ognuno fa il suo mestiere, loro quello di vendere, noi quello di scegliere. Eppure le regole di questo scambio potrebbero essere più chiare o forse per loro ci sono regole culturali più certe, che noi non abbiamo più.
Abbiamo visitato il giorno di capodanno una piazzetta che mi è rimasta nel cuore, dove c'è una spezieria molto carina. In questo negozietto ci ha accolto Said, si è presentato ed ha cominciato a farci vedere alcuni dei suoi preparati. Ci ha fatto accomodare e ci ha offerto un thè, la miscela reale, molto buono. Poi mi ha fatto provare una maschera all'argilla e alle rose, sulla mano destra. Ci ha mostrato vari preparati, ha risposto alle nostre curiosità. Certo il rituale di vendere in questo modo diventa qualcosa di diverso e la gentilezza e la simpatia di Said ci hanno colpito in modo molto più favorevole.

C'è una differenza culturale profonda: il prezzo per loro mi è sembrato essere molto più aleatorio, legato a dinamiche che possono essere relazionali, legate al contesto o al momento della giornata, alla simpatia o alla antipatia. Il modo di vendere è infatti diverso anche da negoziante e negoziante. C'è Said, ma c'è anche il negoziante dei cuscini che dopo averci mostrato la merce ci ha girato le spalle e non ci ha più considerato.
Per me che sono abituata a dire semplicemente mi piace o non mi piace, mi serve o non mi serve, il prezzo è quello che posso pagare oppure no, una cultura della contrattazione del prezzo è spiazzante.
Così come è spiazzante non sapere quanta vicinanza e quanta reale simpatia si è suscitata negli incontri. Certo il problema, come in tutti i viaggi all'estero, è che il contatto avviene prevalentemente con persone che hanno a che fare con stranieri. Non è semplice conoscere persone del posto in pochi giorni, quindi non è possibile definire il carattere di un popolo solo da visitatori.