mercoledì 7 febbraio 2018

Poesia senza fine (o dei miti fondativi)

I film di Jodorowsky sono dei sogni, dei bellissimi, incredibili sogni messi in scena.
Come nei sogni,  Jodorowsky non si preoccupa della trama, crea immagini surreali, che possono avere più significati.
Solo dopo averlo visto ho  guardando il cast degli attori: il protagonista del film Poesia senza fine (2016), Adan Jodorowsky,  è il figlio del regista,  mentre il nonno paterno è interpretato da Brontis Jodorowsky, il figlio maggiore.
Adan poi è lo stesso che aveva interpretato, da bambino, un altro inquietante film di Jodorowsky, Santa Sangre (1989), incentrato su una  storia familiare  tra Edipo e Lady Macbeth.  Le  immagini di quel film mi hanno perseguitato, come una sorta di sogno ricorrente, dal quale non ci si può liberare: la donna senza braccia cui il figlio presta le sue era un simbolo potente del rapporto madre-figlio.
Nei film di Jodorowsky arte e vita si incrociano in un magma particolare.
In Santa Sangre ad esempio Adan interpreta il protagonista bambino e Axel, un altro figlio del regista, ha il ruolo del protagonista adulto.
 Ho trovato il DVD di La danza della realtà (2013) solo nella versione spagnola, quindi non sono certa di aver compreso tutto, ma le immagini, i colori, la recitazione enfatica, mi hanno aiutato a capire la trama e sono in se stesse godibili. E' la storia del proprio padre, interpretata da Brontis, una storia di riavvicinamento e confronto. Bellissima la scelta, che poi si ritrova anche in Poesia senza fine, di far recitare  la madre cantando, come fosse un'opera lirica, un melò.
Poesia senza fine appare come il film più compiuto, che continua il racconto autobiografico iniziato nel La danza della realtà, narrando la giovinezza del regista, l'inizio della sua carriera.
Se in Santa Sangre il tema principale era quello del rapporto del figlio con sua madre, un rapporto pienamente edipico, che condiziona tutte le sue relazioni d'amore e lo porta alla follia, in Poesia senza fine Jodorowsky invece presenta come tema principale la sua ispirazione, il suo desiderio di diventare e poi essere un poeta della vita, tagliando alle radici il suo rapporto con la famiglia. La metafora viene resa viva nel taglio dell'albero,  una delle scene più belle e intense del film.
Racconta il  rapporto con le muse ispiratrici e con gli altri poeti, con gli artisti del suo tempo, come i danzatori simbiotici,  la ricerca di un modo per sganciarsi dai fantasmi familiari, ma soprattutto si domanda  cosa significhi creare, quali fantasmi si risvegliano.

Una famosa psicoanalista, Selma Fraiberg, parla dei fantasmi dei genitori nella stanza dei figli. I ricordi non ricordati dei genitori si attualizzano nella relazione con la prole: ciò di cui si è avuto paura, ma non si è potuto parlarne,  si può vedere con terrore nei propri figli. Ciò a cui si è aspirato, ma non si è seguito, i propri figli lo assumono come un compito.
Jodorowsky fa vivere direttamente i suoi fantasmi ai figli-attori, Brontis, Alex, Adan, sono i suoi alter ego o quelli di suo padre. non  nega le paure e le aspettative, non li nasconde, li trasforma in magnifiche scene colorate, piene di musica e sangue e corpi nudi.
Chissà che effetto ha fatto a loro rappresentare il proprio padre, le sue aspirazioni, il suo talento?
Se la messa in scena  è anche un percorso terapeutico, chissà  se far rappresentare i propri fantasmi è servito anche ai suoi figli per elaborare i conti con lui?
Brontis nell'ultima scena di Poesia senza fine  si toglie la maschera del nonno, torna ad essere se stesso?
Fa riflettere che l'unica che si sia tenuta fuori dallo psicodramma familiare sia la figlia femmina, Eugenie, ci si può chiedere se la sua partecipazione sarebbe stata troppo vicina ad attualizzare i fantasmi edipici, l'amore verso il padre, l'amore del padre per lei. Se il regista l'avesse scelta per rappresentare la propria madre, sarebbe stato troppo rischioso: in Poesia senza fine l'attrice che interpreta la madre è la stessa che interpreta Stella, la poetessa-musa ispiratrice-amante di Alejandro.
Allora, sullo stesso piano dei sogni, ciò che il regista crea sono dei miti, delle leggende archetipiche, attraverso immagini immediatamente fruibili, ma anche infinitamente interpretabili, che pongono domande su ciò che è la vita, la morte, l'amore, la creazione artistica.

Quando riusciamo a trovare, nelle nostre piccole vite, la scintilla che le rende uniche, ma anche universali, vicine a quelle di tutti gli uomini, e la raccontiamo a noi stessi, ai nostri amici, al nostro psicologo, non stiamo anche noi costruendo un mito?
Freud e Jung hanno creato le proprie complesse teorie psicoanalitiche a partire dai propri sogni.
Jodorowsky ed i grandi artisti hanno il talento di riuscire a comunicare a noi tutti  i propri miti fondativi.