martedì 19 novembre 2013

La comicità cattiva di Sole a catinelle.

Lo dico senza mezzi termini (e poi proverò ad argomentarlo): tra Sole a catinelle e L'ultima ruota del carro ho preferito il film di Nunziante. Checco Zalone è un carabettista ed il film è tagliato  sul suo talento, gli attori intorno a lui ne risentono un po'. Invece Elio Germano è un attore vero e bravissimo, che sa calarsi in personaggi diversi ogni volta e Veronesi è un regista che sa costruire storie coinvolgenti. Però il film di Zalone mi ha fatto ridere e pensare, invece quello di Germano mi ha fatto sorridere senza che niente mi colpisse davvero.
Alcune battute  di Sole a catinelle sembrano più superficiali di quello che non sono, così come la descrizione dello spirito dei nostri tempi attraverso le lenti deformate della satira appare più feroce di quella di Veronesi.
C'è una scena di L'ultima ruota del carro nella quale il protagonista guida il suo camion su una strada piena di cartelloni di un Berlusconi sorridente e piano piano anche Elio/Ernesto comincia a sorridere.
E' abbastanza efficace, ma non quanto l'ottimismo caricaturale di Checco Zalone che sostiene la sua teoria anti crisi economica con gli imprenditori  o che cerca di vendere gli aspirapolvere a tutti i suoi parenti. Checco sembra portare a galla l'italiano berlusconiano che alberga in ognuno, che in fondo sta simpatico proprio per il suo ottimismo irrealistico. Zalone e Nunziante non se la prendono con i politici, ma con la società che sta dietro un certo tipo politica, con i vari caratteri italiani, come  quando Checco cerca le magliette della marca Che Guevara.
Sono uscita dal film di Veronesi con una conciliante visione dell'Italia degli ultimi decenni, con una tristezza consolatoria. Il regista prova a mettere in scena un personaggio ingenuo, che sembra non comprendere la complessità delle vicende che scorrono accanto a lui, fa sorridere lo scollamento tra la sua poca furbizia e il cinismo degli amici più svelti. Ma l'Italia che emerge è comunque quella della frattura tra i buoni-ingenui e i furbi-cattivi.
Invece Sole a catinelle mi ha lasciato un'amarezza forte e profonda, nonostante le risate a volte facili. Mi sono chiesta cosa volesse davvero dire, se non c'erano dei significati che mi stavano sfuggendo, se non fosse solo un film qualunquista, ma  l'unica  commedia di costume possibile adesso. Il personaggio con cui ci si identifica è un furbo, ma anche un buono, un paraculo simpatico, che può cambiare idea secondo quanto gli conviene. I ricchi sono di sinistra come le operaie che stanno per perdere il lavoro. Gli imprenditori esportano i capitali, ma poi salvano l'azienda ed i posti di lavoro. Sembra quasi che in fondo siamo davvero destinati sempre ad essere democristiani.
 Il paragone con Sordi e con la sua irritante italianità è fin troppo facile, ma anche il disprezzo con cui una parte della critica accoglie il fenomeno Zalone è paragonabile alla sufficienza con la quale Sordi veniva giudicato.
Veronesi appare triste, ma scontato, banalmente sentimentale, soprattutto nel finale che non ti aspetti, ma che non esce dagli schemi della morale della onesta che basta a se stessa. Zalone e Nunziante sono scorretti, comici e popolari, ma profondamente cattivi. In fondo anche più disperati, come se dicessero che Checco è l'italiano che ci rappresenta davvero. Non so se questo stia anche alla base del successo di pubblico, se in fondo non è avvertibile una maggiore verità e complessità del film, non saprei dirlo. (Chissà se c'entra anche con la simpatia che suscita Renzi rispetto alla serietà o complessità che propone Civati.)