sabato 7 gennaio 2012

Viaggio a Marrakech (parte 1)

L'impatto con Marrakech non è stato facile. La sera in cui siamo arrivati c'era un sacco di gente in giro, forse anche perchè era la sera dell'ultimo dell'anno. La piazza Jeema El Fna era stracolma di persone e di luci e di suoni e anche di motorini che sfrecciavano senza rallentare tra la gente. I motorini sono i veri padroni della Medina, vanno dappertutto e velocemente, se qualcuno non si sposta abbastanza presto suonano con insistenza, come avessero ogni diritto di passare. Nella piazza ci sono suonatori di tamburo, danzatori uomini vestiti da donne, incantatori di serpenti, ammaestratori di scimmiette, cantastorie. Il pubblico è formato prevalentemente da persone del posto, a differenza di quanto uno potrebbe aspettarsi da quando la piazza è stata dichiarata Patrimonio orale e immateriale dell'Umanità i turisti non sono la maggioranza, anche se certo molte delle attività proposte sono indirizzate a loro, ad esempio i venditori di acqua, con il loro costume tipico e colorato, che ora certo non vendono acqua, ma sono lì a farsi fotografare.


Quindi la sera in cui ci siamo trovati nel mezzo dello spettacolo delle persone e delle loro lingue, in mezzo ai suoni così diversi, a facce e colori così intensi, mi sono sentita estranea, straniera, in un modo nel quale raramente mi è capitato. Inoltre pur sapendo che ci avrebbero inondato di richieste mi è sembrato fin troppo invadente il loro modo di proporsi. Fin dall'inizio un signore, che si è presentato come Abdul, si è offerto di accompagnarci nella kasba ed ha preso un ritmo fin troppo veloce, indicandoci vari negozi, ci ha accompagnato subito in una spezieria, voleva poi farci visitare un negozio di artigianato ed infine ci ha portato in due ristoranti. Siamo riusciti ad andare da soli solo dopo qualche cortese tentativo ed abbiamo subito imparato che bisogna essere decisi nel rifiutare le loro proposte.
La sensazione di estraneità è anche dovuta alla distanza che si avverte in questo modo di essere trattati: continuamente c'è la sensazione di essere visti solo come stranieri, turisti, persone in grado di spendere, così come poi questo significa che anche la nostra percezione nei loro confronti cambia, si insinua la convinzione di essere fregati, di non potersi fidare di nessuno. Un esempio che ci è successo più volte: mentre cerchiamo un posto da visitare, la Medersa, il palazzo Bahia, o altri musei, se guardiamo la cartina o chiediamo aiuto a qualcuno la risposta è "ma ora è chiuso, apre alle due, vi porto intanto al mercato delle spezie" o qualcosa di simile. Non è vero che è chiuso fino alle due, la prima volta ci siamo cascati, poi non ci abbiamo più creduto, purtroppo però non abbiamo più creduto neanche ad altre affermazioni date in modo così perentorio.
Verrebbe da dire che ognuno fa il suo mestiere, loro quello di vendere, noi quello di scegliere. Eppure le regole di questo scambio potrebbero essere più chiare o forse per loro ci sono regole culturali più certe, che noi non abbiamo più.
Abbiamo visitato il giorno di capodanno una piazzetta che mi è rimasta nel cuore, dove c'è una spezieria molto carina. In questo negozietto ci ha accolto Said, si è presentato ed ha cominciato a farci vedere alcuni dei suoi preparati. Ci ha fatto accomodare e ci ha offerto un thè, la miscela reale, molto buono. Poi mi ha fatto provare una maschera all'argilla e alle rose, sulla mano destra. Ci ha mostrato vari preparati, ha risposto alle nostre curiosità. Certo il rituale di vendere in questo modo diventa qualcosa di diverso e la gentilezza e la simpatia di Said ci hanno colpito in modo molto più favorevole.

C'è una differenza culturale profonda: il prezzo per loro mi è sembrato essere molto più aleatorio, legato a dinamiche che possono essere relazionali, legate al contesto o al momento della giornata, alla simpatia o alla antipatia. Il modo di vendere è infatti diverso anche da negoziante e negoziante. C'è Said, ma c'è anche il negoziante dei cuscini che dopo averci mostrato la merce ci ha girato le spalle e non ci ha più considerato.
Per me che sono abituata a dire semplicemente mi piace o non mi piace, mi serve o non mi serve, il prezzo è quello che posso pagare oppure no, una cultura della contrattazione del prezzo è spiazzante.
Così come è spiazzante non sapere quanta vicinanza e quanta reale simpatia si è suscitata negli incontri. Certo il problema, come in tutti i viaggi all'estero, è che il contatto avviene prevalentemente con persone che hanno a che fare con stranieri. Non è semplice conoscere persone del posto in pochi giorni, quindi non è possibile definire il carattere di un popolo solo da visitatori.

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