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giovedì 31 dicembre 2020

Saluti al 2020

 Ci sono anni che vengono ricordati più di altri.

Per me è stato quanto è avvenuto nel 2012, una frattura irrimediabile.

Niente al confronto può reggere, neanche la pandemia che ci ha chiuso in casa per mesi, che ci ha rubato gli abbracci ed i baci, che ci ha nascosto le espressioni più care dietro le mascherine protettive.

Durante tutto l'anno mi sono ripetuta che anche la pandemia sarebbe finita, perché non c'è niente di umano che non abbia una fine. E che l'avrei gestita, perché sono sopravvissuta ad un'altra catastrofe e ora niente mi spaventa.

Anche il dolore che non credevo sarei riuscita a tollerare, alla fine è diventato parte delle mie giornate, parte essenziale, ma che non attacca la mia voglia di vivere e di partecipare.

Quindi anche questa pandemia finirà, forse non subito nel nuovo anno, forse ci vorrà anche tutto il 2021. Ma finirà.

Però il 2020 sarà ricordato anche  per un lascito  più importante: l'occasione di riconsiderare le priorità.

Quando accade qualcosa di catastrofico, che va a colpire l'abitudinaria inconsapevolezza della nostra quotidianità e la scardina, siamo costretti a vedere cosa è  importante, quali siano i nostri congiunti, se vale di più un'ora di lavoro o un'ora d'amore, se la salute viene prima dei guadagni, se il  nostro divertimento è compatibile con la sopravvivenza dei nostri nonni, se chi ci governa è in grado di fare davvero il bene del paese.

Per questo molti hanno sperato che dalla pandemia del 2020 potessimo uscire migliori.

Peccato che ci sia un problema, l'animo umano  si abitua velocemente a tutto, anche alle catastrofi. Se la consapevolezza non viene coltivata, se non si accetta il dolore e  non lo si rende una parte di noi, anche solo come un piccolo cambiamento nei nostri pensieri, allora la tendenza è quella di rimuoverlo velocemente, di nasconderlo dietro l'illusione che tutto torni "come prima".

Quindi caro 2020 ti saluto augurandomi che non verrai dimenticato, che il tuo lascito rimanga nei nostri pensieri e che tutto non torni come prima.

Al 2021 il compito di porci altre sfide di consapevolezza.


venerdì 17 aprile 2015

Meditazione mindfulness V. Per uscirne bisogna passarci in mezzo.

Ho finito di leggere un bel libro sulla meditazione, sul buddismo e la psichiatria, La lezione della serenità. L'autore è uno studioso, uno psichiatra statunitense, che è anche un buddista, Mark Epstein.
L'aspetto interessante della sua analisi è il tentativo di leggere la figura del Buddha ed il suo messaggio come il frutto della elaborazione del trauma della perdita della madre.
Tale elaborazione si compie  attraverso gli anni nei quali  il principe Siddharta ricerca una soluzione alla consapevolezza del dolore della esistenza, prova varie pratiche e filosofie ascetiche, ma alla fine sotto l'albero della Bodhi raggiunge l'illuminazione. Il ricordo di un momento di gioia della sua infanzia, un momento nel quale Siddharta sembra  recuperare uno stato di unione con la madre perduta, dissociato dal momento del suo trauma, sembra essere la radice che permette di osservare e tollerare la sofferenza del mondo.
Il trauma provoca  una dissociazione delle emozioni catastrofiche dallo stato di coscienza attuale. A volte anche alcuni stati primitivi di de-sincronizzazione nella relazione tra la madre ed il neonato, secondo alcune odierne scuole psicoanalitiche, possono provocare stati emotivi che vengono dissociati.
Seguendo uno studioso, lo psicoanalista Philip Bromberg, autore di Clinica  del trauma  e della dissociazione, si potrebbe dire che  il modello che il Buddha propone come metodo della consapevolezza  consiste nel riuscire a stare negli spazi tra i Sè dissociati.
Nel frattempo le mie meditazioni sono diventate più regolari, ormai riesco a meditare quasi tutti i giorni, ho cominciato con quindici minuti al giorno, ora sto cercando di meditare per mezzora, perché mi accorgo che solo dopo un certo tempo, se supero il flusso continuo dei pensieri e li lascio scorrere, riesco a concentrarmi solo sul respiro e su una sorta di suono interiore.
E' diventato molto più facile immergersi nel flusso di consapevolezza, al punto che anche durante il giorno, se qualcosa mi irrita, mi rende inquieta, mi basta ricordarmi del mio respiro, ritornarvi per un attimo, per interrompere l'inquietudine, per distanziarmene. Non dico che quindi mi è sempre possibile superare le emozioni negative, però almeno è più facile identificare quali sono le emozioni, gli stati, le sensazioni, i sentimenti che sto provando. Poi posso anche rimanere, anzi in certi momenti non c'è altra soluzione che rimanere, con  quella emozione, però con  consapevolezza e chiarezza mentale. Come recita una massima buddista "per uscirne bisogna passarci in mezzo".
Anche la psicoterapia in fondo insegna qualcosa di molto simile: non è possibile evitare la nostra sofferenza, distogliere perennemente lo sguardo da ciò che ci ferisce, cercare in ogni modo, più o meno nevrotico, di evitare i pensieri, i ricordi, i nostri stati traumatizzati. Per trovare una soluzione è necessario passarci in mezzo, accettare di analizzare, ricordare, stare con quelle emozioni, stare in mezzo al conflitto, alla mancanza, alla ambiguità.
Anche la psicoterapia, quando è condotta senza eccessivo coinvolgimento del terapeuta, cioè senza che il terapeuta abbia già pronte delle risposte, lascia al paziente uno stato di attenzione libera e fluttuante nella quale è lui stesso e solo lui a trovare una risposta ai suoi dilemmi. Quello che succede spesso però in alcune psicoterapie è che le parole più superficiali, le razionalizzazioni, occupano molto spazio, troppo rispetto al flusso di coscienza spontaneo del paziente.
La tecnica della meditazione Mindfulness permette di creare all'interno di se stessi uno spazio nel quale il flusso dei pensieri, delle emozioni  e delle sensazioni può scorrere ed autosservarsi.
Perché nessuno può garantirci la felicità in questa vita, neanche la serenità, se non siamo disposti ad attraversarla in ogni momento di tristezza, gioia, disperazione o esaltazione con partecipazione consapevole e distaccata.
E' un principio semplice da dire, ma molto più complesso da mantenere: si dice "vivi ogni momento come fosse l'ultimo", perché è facile capire l'immensa fragilità della nostra esperienza.
Ma poi giorno per giorno ci attacchiamo ai nostri desideri, alle passioni, anche alla nostra frustrazione  e sofferenza, come se fossero assolute.
Nelle mie meditazioni un pensiero che torna spesso è la perdita di Matilde, ovviamente. Molte volte questo pensiero si associa alle lacrime, che lascio scorrere. Ma più frequentemente Matilde dona una luce di relativismo a tutto il resto, diventa come un metro col quale misurare ogni preoccupazione, ogni angoscia, mi ricorda incessantemente che tutto quello per cui mi posso preoccupare giorno dopo giorno non è nulla di fronte al ciclo delle vite e delle morti nel quale siamo tutti inseriti. Mi fa sperimentare, nella ferita che si rinnova, la necessità di apprezzare tutto e allo stesso tempo di non attaccarmi a nulla di quello che vivo.


lunedì 23 settembre 2013

Meditazione mindfulness IV

In questo ultimo anno ho provato a meditare una volta sola, a dicembre del 2012, nel gruppo con alcune care colleghe. Ho pianto durante tutta la meditazione, il mio dolore traboccava, mi trascinava. La consapevolezza piena del momento presente non è facile da tollerare quando ogni momento è pieno di angoscia ed a volte l'unico modo di sopravvivere è quello di occupare la mente con distrazioni inutili.
Da qualche giorno invece ho ripreso a meditare ogni mattina, per 15 minuti.
E' un momento che mi prendo per cercare di stare ad osservare i miei pensieri senza farmene travolgere.
Una delle metafore più belle della meditazione è  quella del cielo attraversato da nubi. Mi immagino la distesa azzurra di un cielo limpido e alcune nuvole bianche che la attraversano, cambiando forme e colore, fino a che il cielo torna sgombro. A volte ci sono giorni nei quali le nuvole sono nere e gonfie di pioggia, ma anche in quel caso, dopo un po', il cielo torna limpido. I pensieri sono come le nuvole, che attraversano la mia mente,  posso riuscire a lasciarli andare, a non attaccarmi a loro, i pensieri vengono e vanno via.
Alla fine della meditazione non sempre mi sento più calma, anzi a volte mi rendo conto che attraverso l'osservazione dei miei pensieri ho portato a galla di nuovo le angosce che cerco di tenere lontano dalla mia consapevolezza.
Ma il punto è che continuare semplicemente a distrarmi da loro non è più funzionale. Ho passato un anno cercando di tenere il dolore sotto controllo, ora non solo lo avverto ancora, ma in certi momenti è come se al dolore si aggiungesse la stanchezza di gestirlo.
Soffro di non tollerare la sofferenza.
Allora la meditazione, forse, può aiutarmi ad accettare il dolore così come è, senza aggiungere i rimproveri e la stanchezza del fingersi a posto, quando non lo si è.
Può distinguere e aumentare la  coscienza della diversità tra alcuni tipi di sofferenza.
La meditazione della montagna è un altro tipo di "consapevolezza piena" che mi piace e mi aiuta. Sentirsi una montagna, immobile, inattaccabile, profondamente radicata ed insieme svettante. Una montagna che rimane attraverso le stagioni, che vive tutti i cambiamenti sulle sue pendici, rimanendo profondamente la stessa, ecco, quando mi vivo così, l'angoscia sembra più sopportabile.
Immagino la montagna che conosco meglio, la montagna Santa Croce, vicina al mio paese lucano, San Fele. Sono la montagna Santa Croce.

domenica 4 marzo 2012

Meditazione mindfulness III

Oggi sono andata al mare, era calmo, con poco vento e poche onde. C'era già la luce prima del tramonto, il sole si stava abbassando. La spiaggia era vuota, senza ombrelloni e con pochissime persone che passeggiavano. Mi sono seduta di fronte al mare, ho chiuso gli occhi, ho assunto la posizione "che ispira dignità" ed ho cominciato a meditare. Mi sono focalizzata sul mio respiro e sul suono delle onde del mare, fino a quando non mi è sembrato che si stessero  sintonizzando. Intanto i pensieri venivano e andavano, come sempre. Ma il mio respiro e il suono del vento e delle onde e della risacca erano sempre lì, sintonizzati o quasi, a fare da sfondo e da àncora per la mia meditazione.

I pensieri erano sempre sulla considerazione di quello che avevo fatto o sul progettare cose da fare, tra il passato ed il futuro. I pensieri sono spesso nella "modalità del fare". Non c'è nulla di sbagliato, non c'è nulla da correggere, se non fosse che spesso allontanano troppo dalla "modalità dell'essere". Non è facile riuscire a vivere momento per momento il presente se si è occupati a giudicare il passato e a progettare il futuro.
Oggi il suono delle onde mi ha aiutato a stare sul momento presente.


sabato 21 gennaio 2012

Meditazione mindfulness II

A dicembre ho finito il corso introduttivo alla mindfulness.  Come dicevo nel post di novembre non è stato facile applicarsi quotidianamente e durante la meditazione "lasciare andare" i pensieri. Però una volta sono riuscita a bloccare uno dei miei impossibili mal di testa ed un'altra  ho affrontato un esame medico che mi metteva ansia senza usare antidolorifici. In entrambi i casi mi è stato utile concentrarmi sul respiro, immaginare e sentire che il respiro attraversava le zone che dolevano. Uno degli insegnamenti delle pratiche infatti è non rifuggire le esperienze spiacevoli, ma concentrarsi su di esse. Come in tutte le  esperienze della vita le sensazioni, anche quelle spiacevoli, se non ci opponiamo,  passano. Se a volte facevo fatica ad addormentarmi bastava iniziare a praticare la tecnica del "body scan" che mi ritrovavo a sonnecchiare. Non è proprio l'effetto che dovrebbe fare, ma funziona per allontanare i pensieri che sono i veri disturbatori del sonno. Quindi alla fine del corso mi sentivo molto motivata a continuare la pratica della meditazione, perché è una pratica che ha avuto degli effetti davvero importanti. Ma poi, un po' per  le vacanze, un po' per  il fatto di non continuare insieme al gruppo, ho rallentato le pratiche quotidiane. Ho rimandato le pratiche formali (la meditazione guidata) e quasi annullato quelle informali (la concentrazione sul momento presente nello svolgimento di una attività). Mi è rimasto un atteggiamento mentale che mi aiuta a superare i momenti di inquietudine e difficoltà ricordandomi che sono solo momenti e che in genere, se non li avverso e non vi costruisco intorno una sovrastruttura di giudizi negativi o di sensi di colpa, passano. I momenti negativi passano, sono le nostre aspettative  che spesso ci fanno opporre a quanto succede e ostacolano e quindi complicano gli eventi.
Sento il bisogno di continuare questa esperienza, ho la certezza che può funzionare solo con un costante allenamento e che solo le pratiche quotidiane possono modificare stabilmente l'inquietudine, l'ansia, lo stress di  vivere.

sabato 26 novembre 2011

Meditazione mindfulness

La pratica della mindfulness prevede ogni giorno alcuni momenti da dedicare alla meditazione e allo yoga. Non è facile  riuscire a ritagliare un momento per se stessi, almeno dato i miei ritmi del doppio lavoro di psicologa e di mamma, e non è facile neanche riuscire a stare per mezz'ora sulle sensazioni del proprio corpo, nel momento presente, nel qui ed ora.
La difficoltà sta nel sentire le proprie sensazioni, in parti del corpo che solitamente sono lontani dalla attenzione quotidiana, ad esempio l'alluce del piede sinistro, il polpaccio della gamba, senza giudicare i propri tentativi o il senso dell'esercizio e cercando di mantenere la propria consapevolezza sulle sensazioni, lasciando andare invece i propri pensieri, quelli che inevitabilmente si inseriscono durante la meditazione. La mente funziona così, dicono gli istruttori mindfulness, e non è possibile evitare i pensieri, bisogna invece imparare a lasciarli andare, non aggrapparsi ad essi, non lasciare che invadano tutta la nostra attenzione facendoci poi comportare come se avessimo inserito il pilota automatico.
Trovo che questo sia davvero il senso degli esercizi di meditazione: il concentrarsi sullo sfondo della nostra consapevolezza, sul senso dei nostri organi vitali, permette di dare meno peso ai pensieri che attraversano in modo automatico la nostra mente durante la giornata. Dare meno peso ai nostri soliti ragionamenti permette di vederne più lati, permette di prendere decisioni più limpide e meno necessitate.
Almeno questo è l'obbiettivo.
Intanto si sceglie anche una piccola attività quotidiana da compiere con consapevolezza: fare il caffè, lavarsi i denti, preparare la cena. Anche qui non è facile riusicre a dedicare tempo con attenzione a queste attività: in genere mentre cucino ascolto mia figlia che mi racconta la giornata e mentre faccio il caffè riempio anche la lavastoviglie. Però la cosa importante sembra essere quello di provarci comunque vada, con gentilezza e pazienza, senza giudicarsi, anche quando non si riesce a concentrarsi.
Per ora sono qui, ai tentativi.

martedì 15 novembre 2011

Nel bene e nel male


Non conoscevo la bellissima canzone di Cristiano De Andrè Nel bene e nel male, devo ringraziare le mie istruttrici mindfulness.
La pratica della meditazione secondo il modello mindfulness è diventata da poco parte della mia vita e per ora non mi sento ancora di fare un bilancio.
Posso solo dire che non è facile avere costanza in questa attività, tra qualche settimana potrò raccontare qualcosa di più.
Intanto voglio condividere l'emozione di questa canzone.

http://youtu.be/601CIBGBJUc