martedì 18 dicembre 2012

Il concorsone e la meritocrazia.

C'è qualcosa di sbagliato nella  mentalità degli italiani se ci scandalizziamo del medico che commette un errore e dell'insegnante impreparato,  ma ci lamentiamo di prove di valutazione selettive.
Come è possibile selezionare davvero dei professionisti, siano essi medici, insegnanti, magistrati, se non si ammettono dei criteri di valutazione severi ed abbastanza oggettivi?
Le polemiche di questi giorni sulla prova di selezione del concorsone mi hanno provocato alcune riflessioni.
Prima di tutto ho provato a fare la prova con il simulatore online. Al primo tentativo sono riuscita ad arrivare a 33 punti. Sono necessari 35 punti su 50, se si risponde bene si ottiene un punto, se si dà una risposta errata c'è una penalizzazione di 0,5, se non si risponde non si ottengono punti nè penalità. Al secondo tentativo ho totalizzato 28. Al terzo tentativo ho superato la prova col punteggio  minimo 35.
Penso che se mi fossi allenata di più e che se avessi migliorato alcune conoscenza soprattutto nella fisica e nell'informatica, di base, avrei potuto avere buone probabilità di superare la prova. Il mio punteggio era infatti totalmente positivo nelle prove di comprensione verbale, mi mancavano alcuni punti nelle prove di logica (odio gli esercizi in cui va scoperta la regola della serie di numeri), ho fatto un errore su un termine di informatica che non conoscevo e su una frase di inglese.
Insomma nel mio piccolo non ho trovato queste prove così impossibili come vengono descritte dai giornalisti o da chi non l'ha superata. Con questo non voglio sostenere che basti questa prova per insegnare, infatti il concorso prevede che dopo questa prima selezione il candidato abbia 24 ore per preparare una lezione ed un piano didattico, per poi esporlo in mezz'ora di lezione simulata di fronte ad una commissione.
Mi piacerebbe che la discussione sulla valutazione fosse affrontata in modo più serio, mi sarebbe piaciuto che qualche giornalista avesse consultato degli psicologi  che si occupano ad esempio di selezione del personale o dei pedagogisti. Sarebbe necessario che qualcuno cominciasse a porre il problema della valutazione in modo più coerente.
Mi stupisco che proprio degli aspiranti insegnanti si indignino di affrontare una prova oggettiva, che poi è solo una prima scrematura, quando uno dei loro principali compiti sarà proprio confrontarsi con il problema della oggettività della valutazione delle prove dei loro alunni.
Non è facile valutare il merito. Il tema della valutazione delle prove, così come della valutazione della intelligenza o di altre capacità cognitive, è un tema complesso ed è alla base della nascita della psicologia.
Le scienze psicologiche sono nate proprio dalla esigenza delle società moderne di avere la persona giusta al posto giusto. Inizialmente al posto del lavoro, in seguito ad altri tipologie di posti.
Su questo tema si sono impegnati molti studiosi, si è sviluppata la pedagogia e la psicometria, ci sono tesi e opinioni discordanti, ma è tutto fuorchè un tema banale come viene presentato in queste giornate.
A me pare  che il ministero stia facendo per la prima volta uno sforzo per una selezione che non sia condizionata da conoscenze, raccomandazioni, opinioni discutibili, criteri diversi da commissione a commissione. Si sta cercando di creare una prova iniziale che valuti le competenze di base di un buon insegnante: le sue competenze lessicali, la comprensione di un testo, le capacità di ragionamento logico, la conoscenza di alcune formule di base, la capacità di orientarsi sull'uso del computer e di una lingua straniera. Queste non sono certo tutte le competenze necessarie, ma sono quelle che un buon insegnante deve avere. Perchè sono quelle che richiederà anche ai suoi allievi.
Si obbietta che un insegnante di italiano non deve avere competenze matematiche. Nelle prove che ho trovato la matematica è quella di un buon istituto superiore. Io ho fatto il classico e  non ricordo le equazioni o l'algebra, ma se mi ci mettessi potrei recuperare queste conoscenze. Sono appunto conoscenze di base. La mia capacità di preparare una lezione su Leopardi verrà messa alla prova nell'esame successivo.
Anzi io avrei aggiunto a questo tipo di prove anche un esame delle capacità di comunicazione e di gestione di un gruppo classe. Capacità che sono essenziali in un buon insegnante, ma alle quali purtroppo non prepara ancora nessun corso di studi.
Penso che la nostra classe insegnante  delle scuole superiori dovrebbe avere due lauree, anche brevi: una prima  nella materia che si desidera insegnare ed una seconda in scienze pedagogiche. Invece purtroppo in Italia l'insegnamento è stato per molti una scelta di ripiego (parlo soprattutto per le scuole superiori), mentre è una professione di tutto rispetto, con una sua intrinseca difficoltà, che richiede persone motivate, preparate, intelligenti e con una personalità abbastanza equilibrata. Insegnanti così avrebbero diritto a stipendi ottimi, ma solo dopo una selezione severa.

domenica 9 dicembre 2012

Un luogo per noi

Ci sarà una ragione per cui nei millenni gli essere umani hanno sentito il bisogno di preparare un luogo dove far stare i propri morti.
Oggi ho fatto una veloce visita alla tomba di Matilde, il viale che mi porta in quel luogo mi è sembrato familiare, come un posto che ormai  fa parte della mia vita.
Fino a qualche tempo fa dicevo di non amare i cimiteri. Dicevo che volevo essere cremata e che le mie ceneri fossero disperse. Anche Matilde lo diceva.
Ora invece avere un posto dove poterla ricordare è diventato importante. Certamente il ricordo è sempre con me, è nella sua stanza, nei luoghi di questa città che lei ha vissuto e frequentato, è in ogni persona che l'ha conosciuta e che l'ha amata.
Ma è anche lì, sotto la pioggia e sotto il sole, nel vento e nella terra.
C'è una ragione per cui vogliamo testimoniare il passaggio di una persona su questa terra, c'è una ragione per cui vorremmo che questa testimonianza potesse durare  in eterno.
Gli antropologi fanno risalire all'Homo Sapiens l'usanza della sepoltura dei morti.
La credenza in un'altra vita ci rende umani.
La memoria dei morti ispira la letteratura, la poesia, la musica, l'architettura.
La memoria ed i riti intorno alla morte hanno creato le religioni.
Dalla riflessione sulla morte nasce la filosofia.
Diceva Epicuro che là dove c'è la morte non ci siamo noi e che dove ci siamo noi non c'è la morte.
Epicuro parlava della propria morte, non della morte dei nostri cari.
Mi hanno detto, tra le tante cose che ho sentito, per consolarmi, che se Matilde non c'è più non sente più nulla ed ha smesso di soffrire. La morte è la fine di ogni sofferenza.
Ma dove c'è la morte c'è qualcuno che ricorda e che piange la persona scomparsa.
Dove c'è la morte si crea un buco, un'assenza, incolmabile per chi rimane.
I cimiteri servono alla nostra sofferenza, non servono ai morti, servono a noi.
Per questo non riuscivo a capire e ad amare la loro esistenza, prima di aver subito questa perdita.
Il cimitero è ora diventato un luogo che mi aiuta a tollerare, a volte, la sua assenza, un luogo dove posso avere, a volte, la sensazione di ritrovarla.